Conflitti e guerre stanno attualmente sconvolgendo diverse decine di Paesi nei vari continenti, ma l’attenzione dei nostri media è concentrata su due guerre con risvolti immediatamente più rilevanti in termini geopolitici: la guerra in Ucraina e le operazioni di Israele a Gaza. Sullo sfondo di queste vi è una terza “guerra”, quella che porterà alla elezione del prossimo presidente degli Stati Uniti, determinante anche per la possibile soluzione dei due conflitti. Soprattutto per la guerra tra Russia e Ucraina, che potrebbe essere anche conclusa ora, vista la improbabile sconfitta della Russia a meno di un conflitto diretto con la Nato.



Una pace a breve termine, con risultati per Kyiv non positivi sebbene inevitabili, sarebbe uno smacco per l’attuale Presidenza USA, con possibili risvolti negativi nelle prossime presidenziali. Ne approfitta infatti Trump, affermando che una sua elezione porterebbe a una immediata pace in Ucraina, cosa peraltro credibile. Tuttavia, rinviare a novembre una soluzione alla questione ucraina potrà anche servire alla campagna presidenziale, ma costerà molto in distruzioni e perdite di vite umane. Per la Russia, ma soprattutto per l’Ucraina.



Il termine “guerra” per le prossime elezioni presidenziali statunitensi può suonare eccessivo, ma l’attuale campagna sta assumendo caratteri sempre più radicali. Basti pensare a Donald Trump, condannato per truffa e tuttora sotto accusa per l’assalto a Capitol Hill nel 2021. E, sull’altro versante, gli aspetti di fragilità senescente di Joe Biden, ormai non più negata neppure in ambienti democratici. Uno scenario difficilmente immaginabile per la maggior democrazia nel mondo.

Una recente indagine effettuata dal Pew Research Center di Washington pone in evidenza le nette differenze tra i sostenitori dei due attuali candidati su una serie di importanti fattori della vita sociale. È interessante il fatto che i risultati non siano classificati secondo l’adesione ai due partiti principali, democratici e repubblicani, ma per sostenitori di Biden e sostenitori di Trump. Infatti, se si può supporre che chi si dichiara sostenitore di Biden lo sia anche del partito democratico, un’equivalenza simile non è forse completamente applicabile ai sostenitori di Trump, la cui candidatura è di fatto molto personalizzata.



Un elemento di forte contrasto è il giudizio sulla libertà di possesso di armi, considerato un fattore di sicurezza per tutti i cittadini dall’86% dei sostenitori di Trump e solo dal 23% dei sostenitori di Biden. Per converso, questi ultimi ritengono, con l’87%, positiva l’apertura verso chi viene da altre parti del mondo, percentuale che scende al 36% per i trumpiani.

Altra forte differenza si nota rispetto alla libertà di considerarsi di un sesso diverso da quello con cui si è nati. Qui le percentuali favorevoli sono decisamente più basse, ma i sostenitori di Biden accettano questa posizione al 59% contro il 9% dell’altro schieramento. Altro dato significativo è l’importanza attribuita al matrimonio e all’avere figli: positivi i trumpiani per il 59% contro il 19% degli altri. Dall’altro lato, il 57% dei pro Biden considerano positiva per la società la legalizzazione del matrimonio omosessuale, contro l’11% dei pro Trump. La maggioranza in entrambi gli schieramenti reputa positivo che la religione rimanga separata dalle decisioni del governo, si va però dall’86% dei pro Biden al 56% dei trumpiani.

L’atteggiamento verso la criminalità del sistema giudiziario è ritenuto non sufficientemente “duro” dall’81% dei pro Trump e solo dal 40% dei pro Biden. Infine, il 79% dei pro Biden ritiene che i neri nella società americana stiano ancora soffrendo delle conseguenze dello schiavismo, opinione condivisa solo dal 27% dei pro Trump.

Si tratta di un’indagine molto articolata e una analisi approfondita di tutti i fattori di differenziazione affrontati nelle interviste richiederebbe un tempo eccessivo. Gli elementi menzionati credo diano già una visione sufficiente delle profonde diversità esistenti nella società americana e delle possibili conseguenze sulla campagna elettorale, peraltro già fortemente condizionata dalle posizioni rispetto alle due guerre reali già citate.

Solo un ultimo dato: il 23% degli intervistati pensa che gli Stati Uniti siano superiori a tutti gli altri Stati nel mondo, a confronto di una percentuale del 26% nel 2019. Tra i votanti di ispirazione repubblicana la percentuale è scesa dal 43% al 35%, mentre è rimasta attorno al 10% per i democratici. Nell’attuale inchiesta è da rilevare la differente risposta secondo l’età: si va dal 32% al di sopra dei 65 anni all’11% della classe 18-34.

A quanto pare, l’eccezionalismo americano comincia a fare meno presa, soprattutto tra i giovani.

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