È il voto dell’America profonda, quella che non crede più ai giornali perché hanno perso la loro indipendenza, né ai divi del mondo dello spettacolo, legata a valori più semplici rispetto a quelli LGBT o della cancel culture. L’America che ha sentito tutto il peso dell’inflazione e che non vuole l’immigrazione irregolare. Una parte maggioritaria del Paese, osserva Marcello Foa, giornalista, docente universitario, già presidente Rai e conduttore di “Giù la maschera” su Rai Radio1, che ha finito per identificarsi con Donald Trump, verso il quale ha provato quell’empatia che invece non è scattata con Kamala Harris. Le presidenziali americane, però, potrebbero lasciare un segno non solo negli Stati Uniti: l’elezione di Trump mette in crisi quella élite globale che pensava di governare il mondo attraverso gli organismi sovranazionali, perché il tycoon il potere lo vuole tenere per sé e per gli USA. Un atteggiamento che potrebbe mettere in difficoltà anche la UE.



Qual è stato il fattore decisivo nell’elezione di Trump?

L’identificazione con il candidato da parte dell’americano medio. Un meccanismo che non è scattato solo negli Stati chiave, tanto è vero che stavolta Trump ha conquistato il voto popolare. Harris, invece, è stata percepita come persona con la quale è difficile avere empatia. C’è stata un’identificazione con Trump dell’America profonda ma maggioritaria. In più ha contato l’inflazione: l’economia reale sta rallentando, permettendo a Trump di rispolverare un argomento usato da Reagan. Quando chiese agli elettori “State meglio adesso o quattro anni fa?”, l’allora presidente voleva sottolineare i risultati delle sue riforme economiche; l’attuale leader repubblicano ha usato questa frase per evidenziare i fallimenti di Biden.



Appena eletto, Trump ha definito Elon Musk un supergenio, riconoscendogli i meriti nella vittoria elettorale. Ha giocato effettivamente un ruolo importante?

Quella che è appena finita è stata la campagna elettorale più dispendiosa della storia: i candidati complessivamente hanno sborsato una cifra vicina ai 3 miliardi. Elon Musk ci ha messo molti soldi e si è impegnato personalmente; inoltre ha garantito con X una informazione social senza censure. Ha rafforzato l’immagine di Trump andando a sedurre un elettorato che, senza di lui, avrebbe dubitato del candidato repubblicano a causa della sua età. Musk è un idolo per una parte del pubblico USA; è l’uomo più ricco d’America: forse non è stato decisivo, ma un ruolo l’ha sicuramente giocato.



La Harris ha avuto la maggioranza dei media dalla sua parte, eppure non è bastato. Anche le dichiarazioni molto sopra le righe di Trump (tipo “Mi piacerebbe che sparassero ai media”), peraltro continuamente stigmatizzate dagli stessi mezzi di comunicazione, non sono state percepite come un pericolo dagli elettori. Come mai?

I media hanno perso da tanti anni la loro indipendenza, sono diventati autoreferenziali illudendosi che con i titoli di giornali e telegiornali si possano influenzare gli umori della gente. In realtà, in America c’è un sentimento di sfiducia così forte nei confronti dei media che le campagne contro qualcuno, in questo caso Trump, finiscono per avere l’effetto opposto sulla grande massa del pubblico. I media non interpretano più il Paese reale, non esercitano più in maniera oggettiva il loro ruolo di contropotere; dunque, la loro opinione non influenza più le masse. Lo ha detto con molta chiarezza Jeff Bezos nel suo editoriale sul Washington Post. La stessa cosa accade anche in Italia.

Neppure il mondo dello spettacolo è riuscito a convogliare voti verso la Harris.

Queste elezioni segnano anche la sconfitta dell’establishment di Hollywood: c’è stata una mobilitazione di massa con concerti e appelli; Taylor Swift ha invitato a votare democratico, ma anche questo mondo non ha più presa sull’America profonda.

I repubblicani conquistano il Senato e quasi sicuramente anche la Camera: Trump avrà mano libera per fare quello che vuole?

È un segnale molto forte, significa che non si tratta di una vittoria episodica, ma riflette un sentimento radicato nel Paese. Bisognerà capire la composizione della maggioranza repubblicana, per vedere quanti saranno i trumpiani, e attendere come reagirà il deep state, che troverà il modo di mettersi di traverso; ma queste elezioni possono davvero cambiare molti orientamenti fondamentali anche per noi europei. L’onda woke, la cancel culture, la sfida transgender, l’Agenda 2030 dell’ONU avranno meno presa, a meno che non diventino strumenti di battaglia ideologica contro Trump.

Cioè a livello internazionale, se l’America non spinge su questi contenuti, gli altri Paesi difficilmente lo faranno?

Esatto. Tutto ciò metterà in imbarazzo anche la UE. Con la Harris viene sconfitta una élite globalista che ha strutturato la governance del mondo attorno a organizzazioni sovranazionali. Trump tenderà a portare i poteri all’interno degli USA e conseguentemente a privilegiare i Paesi sovranisti. Per un certo tipo di élite, quella che ha governato negli ultimi trent’anni, e di cui la von der Leyen è espressione, è un colpo molto duro. È possibile che queste elezioni rappresentino una svolta epocale in relazione agli equilibri e alle sensibilità prevalenti nel mondo.

Che impronta darà Trump alla sua presidenza? Sarà diversa rispetto alla sua prima esperienza alla Casa Bianca?

La volta scorsa non si aspettava di vincere e non era preparato: commise molti errori anche nella scelta dello staff. Capiremo quali saranno le sue priorità quando annuncerà la squadra dei ministri: se davvero nominerà Kennedy ministro della Sanità o in un ruolo di grande influenza in quel mondo, vorrà dire che l’industria farmaceutica prenderà una piega molto diversa da quella attuale. La stessa Organizzazione mondiale della sanità potrebbe essere a rischio: Trump voleva tagliare i fondi già quattro anni fa. Se l’America esce, l’OMS crolla. Dobbiamo attendere per sapere chi saranno i ministri e a chi affiderà la transizione: allora si capirà se vuole liberarsi del deep state o se preferisce raggiungere compromessi con almeno certi ambienti dell’attuale establishment. Quando fu eletto Obama, si capì subito che non avrebbe attuato il cambiamento promesso, perché si circondò di esponenti che venivano dalla grande finanza.

Queste elezioni segnano un cambio di mentalità degli americani o semplicemente nel voto si esprime un modo di pensare che finora non si era manifestato direttamente?

La maggioranza silenziosa ha battuto un colpo. L’estremismo dell’ideologia woke, della cancel culture, e quello LGBT hanno provocato una reazione epidermica dell’America profonda, che queste cose non le sente, e crede, ad esempio, nella famiglia tradizionale. Infine, ha avuto molta importanza il fattore immigrazione: la Harris ha pagato anche questo. Biden ha aperto di fatto le frontiere con il Messico e agli americani l’immigrazione incontrollata non sta bene. Per questo, secondo me, ci sono stati anche democratici più conservatori che hanno votato Trump.

(Paolo Rossetti)

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