Kamala Harris, per la prima volta dalla sua investitura come candidata democratica per le presidenziali, ha tenuto ieri un discorso centrato sul suo piano per l’economia. Il discorso si è tenuto nello stato del North Carolina che è tra quelli decisivi per la campagna elettorale.
Il piano di Harris tocca alcune questioni chiave: l’aumento dei prezzi degli alimentari, il costo delle case, nuovi incentivi fiscali e le politiche commerciali. Il candidato democratico si rivolge alla classe media citando gli aumenti di oltre il 50%, rispetto al 2019, di alcuni beni di prima necessità come la carne e il pane. Per la vicepresidente, nonostante l’economia americana sia “la più forte nel mondo”, “molti americani non percepiscono ancora questo progresso nelle loro vite quotidiane. I costi sono ancora troppo alti. E, a un livello più profondo, per troppe persone, non importa quanto lavorino, diventa molto difficile andare avanti”.
Si conferma che la questione economica, e in particolare l’aumento dei prezzi, è il tema principale per l’elettorato americano. Dietro alle performance economiche e alle crescite del Pil che mettono gli Usa in cima alle economie sviluppate ci sono ampie fasce della popolazione, inclusa la classe media, che sono più povere rispetto a quattro anni fa; il loro potere d’acquisto è stato abbattuto dall’inflazione. Per trovare i voti al centro, nell’elettorato meno ideologico che guarda al portafoglio e a come arrivare alla fine del mese, Harris deve presentare un piano convincente e nuovo rispetto a qualsiasi cosa si sia vista negli ultimi quattro anni. Tra le principali proposte: la cancellazione dei debiti per spese sanitarie, un sussidio da 25mila dollari per l’acquisto di una casa, un tetto alle spese per medicinali, un incentivo di 6.000 dollari a bambino per il primo anno di vita e infine sanzioni contro le decisioni sui prezzi degli alimentari da parte dei produttori che alludono a forme di controllo governativo dei prezzi. Quest’ultima proposta è centrale nel discorso di Harris in qualche modo costretta a trovare un colpevole esterno all’Amministrazione Biden per quanto successo ai prezzi negli ultimi quattro anni. Le proposte di Trump per introdurre dazi all’importazione diventano, invece, nella narrazione di Kamala Harris una “tassa Trump” destinata ad aumentare i prezzi che gli americani pagano.
A valle del discorso è stata sorprendente la reazione di alcuni media vicini al partito democratico. Il Washington Post definisce il piano del candidato democratico come “populista”, mentre la CNN rompe la narrazione sull’avidità delle imprese attribuendo la salita dei prezzi anche all'”incremento della domanda dei consumatori spinta in parte dagli stimoli fiscali delle Amministrazioni Trump e Biden”. La questione è da un lato il costo, in termini di deficit fiscale, delle proposte di Kamala Harris e dall’altro l’attribuzione delle colpe di quanto accaduto sui prezzi negli ultimi anni. È molto diverso, ai fini elettorali, se la colpa ricade sull’avidità delle imprese piuttosto che sulle scelte di politica fiscale. Il contesto ce lo ha ricordato poche ore fa l’Amministratore delegato di Goldman Sachs che ha identificato nel livello dei debiti e dei deficit pubblici una delle sue preoccupazioni principali.
Dal punto di vista europeo, invece, il programma di Harris appare meno minaccioso sul breve termine per una posizione sui dazi meno intransigente di quella di Trump. Nel medio termine il deficit e il debito pubblico americani, che invece non sembrano preoccupare il candidato democratico, si portano dietro sia più inflazione, anche per il resto del globo, sia una maggiore competizione per i risparmi globali che diventano merce scarsa rispetto a debiti pubblici in espansione. In questo scenario anche le banche centrali subiscono la pressione dei governi per evitare contraccolpi sui debiti pubblici. Il punto di caduta di politiche fiscali sbagliate o fuori tempo massimo è nei titoli di stato nella misura in cui i risparmiatori chiedono rendimenti più alti per tutelarsi da fasi di alta inflazione.
Più passano le settimane e più ci si avvicina all’appuntamento elettorale, più diventa chiaro il tema chiave della campagna elettorale. L’inflazione e il suo impatto sul potere d’acquisto dei salari è la sfida sui cui si misurano i due candidati. È una vicenda tutta domestica mentre le questioni internazionali scompaiono dal discorso politico. L’urgenza di questa sfida, abbassare i prezzi, aiuta a rileggere quattro anni di politiche economiche e anche i dati “sintetici” su Pil e mercato del lavoro che nascondono una realtà sociale molto diversa da quella che si potrebbe immaginare.
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