Consiglio in amicizia: evitate di mandare qualche cenno di adesione ai candidati alle presidenziali Usa perché rischiate di essere poi sommersi da una valanga di richieste di contributi dalla quale invano cercherete di sottrarvi. Quando, infatti, si sente in TV che i candidati hanno ricevuto milioni di dollari di donazioni credo che la gran parte delle persone non abbia un’idea di cosa significhi la petulanza delle richieste che da noi sarebbe chiamato “stalking”.



Mi spiego meglio: quattro anni fa mandai una breve mail allo staff degli allora candidati Biden e Trump chiedendo di essere informato sulla loro campagna elettorale e per ricevere programmi più dettagliati. Da allora e per tutta la durata della campagna (e anche dopo) nessuno mi spedì mai uno straccio di programma o dichiarazione politica, ma piuttosto iniziai a ricevere dalle due parti richieste quotidiane di finanziamenti in modo ossessivo.



Quattro anni dopo lo staff di Trump è per ora rimasto silenzioso e così quello di Biden fino al giorno in cui la Harris ha avanzato la sua candidatura.

Da quel momento in poi la mia pace è finita: ogni giorno mi scrivono le persone più strane (dal comitato democratico a sconosciuti parlamentari, dal governatore del Michigan Gretchen Whitmer – che non ho mai avuto il piacere di conoscere – a fondazioni varie) che mi chiedono fondi. È evidente come queste mail siano distribuite a pioggia a milioni di persone e vanno dalla richiesta di 7 dollari per un cappellino ai 14 per una bandierina ai 100 dollari per partecipare a un comizio della Harris.



Addirittura si sono scomodati Bill Clinton e sua moglie Hillary, che chiedono soldi anche loro, ma – il già Presidente forse in virtù del suo ex status – reclamano offerte da 25 dollari in su.

Ho provato a rispondere a un paio degli indirizzi più petulanti che non sono interessato a fare donazioni, ma ovviamente gli inviti a donare arrivano come prima, generati da qualche computer che ha scovato il mio indirizzo email tra quelli di quattro anni fa. Questo nonostante in calce a ogni mail ci sia spesso indicata la possibilità di disiscriversi, ma poiché ne vengono prodotte continuamente di nuove da nuovi soggetti sembra sempre che siano tutte la prima volta.

Interessante come venga specificato come i contributi non possano essere dedotti dalle imposte, che sono congiuntamente prodotti dal “Fondo Harris Vicrtory” e dai vari comitati statali democratici, così come sapere che i primi 6.000 dollari raccolti saranno assegnati al Comitato Harris Presidente, gli ulteriori 3.500 per le spese generali, poi 10.000 ad altri candidati, 3.500 dollari per le spese elettorali generali dai 501.000 dollari in su ai comitati statali. Visto che in TV si parla di milioni raccolti non è chiaro dove finiscano gli altri fondi, forse con la stessa ripartizione formale.

Un contributore può designare il proprio contributo per un particolare partecipante contattando @joebiden.com, indirizzo “superato”, ma che lascia pensare come la nuova campagna della Harris venga così formalmente collegata a quella precedente, probabilmente per non perdere i contributi già raccolti. Infatti, la mail prosegue informando che “la formula di ripartizione sopra indicata può essere modificata, i contributi saranno utilizzati in connessione con le elezioni federali, possono essere spesi per qualsiasi attività come ogni comitato determina a sua esclusiva discrezione. Il programma non sarà destinato a nessun candidato in particolare. La legge federale ci richiede di utilizzare i nostri migliori sforzi per raccogliere e segnalare il nome, indirizzo postale, professione ed entità delle sottoscrizioni…” Come dire “voi pagate, poi facciamo quello che vogliamo…”.

Strano però che solo con l’avvento della Harris sia contestualmente iniziata la pioggia di richieste, segno della disponibilità automatica di indirizzi cui evidentemente il comitato di Biden precedentemente non aveva accesso, quasi che i democratici – o almeno la loro macchina propagandistica – avessero tenuto in serbo l’artiglieria pesante per l’inizio della campagna “vera”.

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