La figuraccia del presidente Joe Biden in TV non lo avrebbe ancora allontanato dal rivale Trump. Secondo un sondaggio Reuters, i due sarebbero appaiati al 40% dei consensi, mentre secondo un sondaggio del New York Times la forbice si starebbe ampliando: 49% Trump e 43% Biden. In realtà, il terremoto seguito alla pessima performance del candidato democratico nel confronto con quello repubblicano avrebbe già sortito i suoi effetti: il New Hampshire, ad esempio, ricorda Rita Lofano, direttore responsabile dell’AGI, doveva essere appannaggio di Biden e non lo sarebbe più.



Il mondo dem è in fibrillazione e, dopo che la stessa Nancy Pelosi ha posto il tema della sostituzione del candidato, diverse sono le iniziative in questo senso. Sempre i sondaggi, però, dicono che l’unica possibilità di battere Trump sarebbe quella di far scendere in campo Michelle Obama. Tutti gli altri, dalla vice di Biden Kamala Harris ai governatori democratici emergenti, raccoglierebbero meno consensi del tycoon.



Un sondaggio Reuters-Ipsos dice che, dopo il confronto TV, Biden e Trump sono ancora alla pari, attestati entrambi sul 40% dei consensi. Alla fine, nonostante tutte le critiche al candidato democratico, la partita è ancora tutta da giocare?

I democratici stavano aspettando i nuovi sondaggi per quantificare i danni provocati dal dibattito e in questo Biden e Trump sono dati alla pari. Detto questo, è innegabile che sia successo un terremoto: la stessa Nancy Pelosi, ex speaker dem della Camera, è arrivata a dire che bisogna vedere se l’attuale presidente è davvero il candidato giusto. I problemi di prontezza e di riflessi, d’altra parte, non sono emersi per la prima volta, ma nel confronto TV sono diventati plateali. Ci sono altri segnali, tuttavia, che vanno nella direzione di un calo di Biden: il New Hampshire veniva dato democratico e ora vede Trump in vantaggio, e anche nel Michigan i democratici hanno perso ulteriormente la presa. Quando anche alcuni esponenti del partito come il texano Lloyd Doggett chiedono che Biden venga sostituito, è chiaro che c’è stato un terremoto. Il tema vero è che non c’è un sostituto.



Lo stesso sondaggio Reuters dice che l’unico candidato democratico che potrebbe battere Trump sarebbe Michelle Obama, che vincerebbe con una percentuale del 50 contro il 39. Altri, come Kamala Harris, Gavin Newsom, Gretchen Whitmer, Andy Beshear, J.B. Pritzker, perderebbero tutti. Punteranno sulla ex first lady?

Quella di Michelle Obama è una suggestione, però allo stato attuale mi sembra strano che possa giocarsi una candidatura così forte entrando in gioco all’ultimo minuto. Poi tutto è possibile. Cosa fa, si mette contro Biden e la sua famiglia, che ora vuole impegnarlo in un’intervista alla ABC per cercare di recuperare? Tutti i governatori dem di cui si è parlato non sono spendibili: l’americano medio non sa neanche chi sono. Ci sono americani che non sono mai usciti dal loro Stato. Conoscono il presidente e basta.

Michelle la conoscono.

Sì, ma lei sarebbe scesa in campo subito.

Non fa un po’ specie questa levata di scudi in campo democratico? Sembrano loro ad avere calcato più la mano su Biden e i suoi errori, a partire dai 25 parlamentari che vorrebbero la sostituzione fino ai molti media di area che hanno chiesto all’attuale presidente di non ripresentarsi come candidato. Come mai?

Il problema è interno ai democratici e adesso è diventato palese. Sono convinta che il sondaggio di Reuters sia veritiero, però al momento c’è solo Michelle Obama che riuscirebbe a battere Trump. Nelle primarie di New York ha perso il candidato democratico più liberal, progressista, è la prima volta che succede dai tempi dell’elezione di Alexandria Ocasio-Cortez. Si sta muovendo qualcosa all’interno del partito.

Cosa deve fare allora Biden?

Deve cambiare strategia perché è diventato un underdog, deve esporsi di più, anche se correrebbe maggiori rischi e per lui diventerebbe faticoso. C’è da considerare un’altra cosa: nel dibattito TV le regole erano tutte a sfavore di Biden. Non poteva avere degli appunti e per una persona di una certa età questo conta. Come possono averlo accettato? L’altra cosa impressionante è l’assenza di pubblico. A Biden si perdonavano le gaffes e gli svarioni perché aveva più empatia con la gente.

Tutto questo non sembra avvalorare ancora di più l’ipotesi che a Biden abbiano confezionato una “trappola”?

Ho parlato nel fine settimana con un lobbista repubblicano al Congresso: secondo lui c’è anche questo. Gli avrebbero confezionato così il dibattito per vedere a che livello sono i suoi problemi, se ce la può fare, senza arrivare a ridosso delle elezioni. Detto questo, vedo più percorribile la strada di una strategia diversa, lo staff deve riportare Biden a fare Biden.

Lo staff ha costretto il presidente a recitare una parte innaturale durante il dibattito TV?

Lo hanno imboccato troppo perché volevano replicare l’effetto del discorso dell’Unione. Invece si percepiva proprio quando ricorreva a frasi fatte. Non è riuscito a volgere a suo favore il dibattito neanche sui temi dell’assalto a Capitol Hill e dell’aborto.

Tra l’altro lo stesso Biden, peggiorando la situazione, ha detto che durante il confronto TV aveva sonno, si sentiva stanco per i viaggi. Una spiegazione che paradossalmente aggrava i dubbi?

Era già tornato da dieci giorni dai viaggi in Europa. I suoi problemi non sono nuovi e le sue condizioni sono state valutate a livello di famiglia e cerchio magico. Qui viene fuori il ruolo di Jill: non si è mai vista una moglie che partecipa a tutte le conferenze stampa del marito. C’è anche un desiderio di potere, di rimanerci aggrappati a tutti i costi. La verità, comunque, è che, tolta Michelle Obama, i sondaggi dicono che non c’è nessuno che possa vincere.

Perché non potrebbe essere lei la candidata sostituta? Tra l’altro sono famiglie amiche.

Però dovrebbe essere Biden a tirarsi indietro: non possono preparargli una candidatura contro proprio mentre lo stanno per incoronare candidato. A due mesi dalla Convention. Bisogna capire se l’effetto del dibattito è stato dirompente o se gli americani ormai sanno che Biden è così; quindi, chi ha deciso di votarlo lo farà e alla fine saranno gli indipendenti a far pendere l’ago della bilancia da una parte o dall’altra.

Trump, invece, cosa deve temere?

Una variabile importante potrebbe essere la scelta del vicepresidente: se scegliesse una donna, magari Nikki Haley, è un conto, se optasse per Marco Rubio un altro. Il tema dei processi è venuto meno, l’immunità parziale concessa dalla Corte Suprema conta: Trump andrà alla Convention repubblicana di metà luglio senza sapere a quanto è stato condannato, perché sta perdendo tempo. Il terremoto è doppio: nella strategia dem un po’ speravano nei processi, soprattutto in quello sulla cospirazione.

Cosa può dirci della frattura interna ai democratici?

C’è sempre stata l’ala più liberal con la Ocasio-Cortez, Elizabeth Warren, lo stesso Sanders, molto critica su certe scelte. Biden, invece, ha cercato di mettere insieme un po’ tutto. Emblematica la posizione su Gaza: più aiuti alla popolazione civile palestinese ma tutelando Israele. La spaccatura è tra l’ala più liberal e la parte più moderata, al netto di Pelosi: le sue parole per invitare a riflettere sulla candidatura Biden hanno già un peso diverso, durante la presidenza Trump è stata quella che lo ha saputo contrastare di più. È un po’ come i padri nobili dei partiti. Tutto questo dibattito, questa spaccatura, avrebbe una valenza diversa in presenza già di un’alternativa concreta.

(Paolo Rossetti)

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