Donald Trump attacca pesantemente Kamala Harris e la sfida a un confronto televisivo su Fox, nonostante fosse già fissato un dibattito su ABC. La sostituta di Biden deve scegliere il vice e non sembra ancora arrivata a raggiungere il tycoon nei consensi. La campagna elettorale per le presidenziali americane si sta infiammando, con Trump determinato a mettere in cattiva luce la sua nuova avversaria e Harris che non ha dato ancora un indirizzo preciso alla sua azione, limitandosi per ora a sfruttare l’effetto entusiasmo suscitato dal tramonto della candidatura di Biden.
Prima di essere sicuri della sua vittoria, osserva Rita Lofano, direttore responsabile dell’AGI, è meglio andare cauti: in fondo, dal punto di vista delle proposte, Harris non ha molte carte da giocare. Può puntare su diritti e donne e sul fatto di rappresentare una minoranza, ma per il resto rischia di apparire schiacciata su quello che ha fatto finora l’amministrazione Biden. Battere Trump non sarà per niente facile.
Harris vola sulle ali dell’entusiasmo ma non si capisce ancora quale direzione voglia dare alla sua campagna elettorale. Su cosa vuole puntare?
Ha raccolto un sacco di soldi, ha galvanizzato i democratici nei comizi ed è piazzata meglio nei sondaggi di Biden, ma resta testa a testa con Trump e penso che quest’ultimo per il momento resti favorito. Bisogna vedere, insomma, dove porterà il clima di entusiasmo che si è creato intorno a lei. Sta giocando la carta dei diritti e delle donne, temi su cui Trump è in difficoltà, ma su altri punti, sulle politiche, ha un po’ le mani legate: non può sconfessare quello che fa Biden, non può prenderne più tanto le distanze, fa l’equilibrista. Non è autonoma e quindi risulta un po’ ingessata, anche se ha la carta dell’essere giovane, della novità e dell’entusiasmo.
Il Wall Street Journal ha raccontato i legami di Harris con Wall Street. Ne esce una candidata da establishment. Si ripropone questo tema con Trump che gioca a fare, invece, il candidato anti-establishment?
Harris nasce come moderata: come procuratore democratico della California puntava su legge e ordine. Su Gaza vuole collocarsi su una posizione più liberal, ma in passato aveva raccolto fondi per piantare alberi in Israele. Ora, siccome deve chiamare dalla sua parte liberal e giovani, vuole porsi alla sinistra di Biden. Ha anche ottimi rapporti con i milionari della Silicon Valley: per questo ha raccolto molti fondi. È molto establishment come candidata, però c’è il fatto che è una rappresentante delle minoranze e questo ha un suo appeal. Ma non può trasformarsi in una Ocasio-Cortez.
Trump l’ha attaccata sulle sue origini, chiedendosi se fosse indiana o nera.
Lo ha fatto perché lei oggettivamente ha rivendicato le sue origini tamil, ha vissuto con la madre che è indiana, ma non incarna l’afroamericano tipico, piuttosto una minoranza indiana, di colore, rappresentando un melting pot che è anche un po’ il senso dell’America. Ma i suoi genitori erano due professori ricercatori: non è l’underdog o il simbolo dell’American dream.
Chi sceglierà come vice?
Si parla tanto di Shapiro, ebreo, moderato, uomo bianco, governatore della Pennsylvania. Purtroppo, e lo dico con grande rammarico, il fatto di essere una donna è un handicap. Bisogna vedere se l’America è pronta. In fondo la Clinton, first lady, moglie di uno dei presidenti più amati, reduce dal boom economico, contro Trump ha perso. Il dubbio sul vice credo che sia fra Shapiro e Kelly, l’ex astronauta, veterano, senatore dell’Arizona, moderato. Proprio per controbilanciare il fatto di essere donna: le serve un uomo e un uomo bianco.
Questa volontà di presentarsi come liberal può anche danneggiare Harris?
Essere liberal non è una posizione popolare, vieni guardato con un po’ di sospetto, non puoi essere troppo a sinistra. Bernie Sanders, democratico che si proclamava socialista, aveva suscitato grande entusiasmo richiamando i giovani, ma poi non ce l’ha fatta. Harris deve trovare un equilibrio, ha riaperto i giochi perché con Biden dopo il dibattito non c’era storia; da lì a dire che l’entusiasmo attuale la porterà alla vittoria, ne corre.
Trump ha detto che Harris è cattiva, che non fa interviste perché non sa parlare, gliene ha dette di tutti i colori. Ha un po’ paura di lei? Lo dimostra anche la polemica sul dibattito televisivo che il candidato repubblicano propone di spostare alla Fox, canale più vicino al tycoon?
Harris è molto brava nei dibattiti, ha la risposta pronta, è molto preparata. Può essere molto forte. Ma nel 2020 si era candidata ed è uscita quasi subito dalla contesa. D’altra parte, fino a poco tempo fa non giravano giudizi lusinghieri sul suo operato come vicepresidente, ora suscita entusiasmo perché la corsa alla presidenza era chiusa e si è riaperta. Dal punto di vista del dibattito e della comunicazione Harris è “tosta” ed è una bella donna, però un conto è considerare questi aspetti, un conto è confrontarsi sulla popolarità e sulle politiche. Trump le chiederà dell’economia e lei cos’ha al suo attivo? Al dibattito, comunque, anche Trump se la deve giocare.
Nonostante i clamori di queste ultime settimane, insomma, non è detto che alla Harris riesca la rimonta.
No, esattamente. C’è anche un altro tema da tenere in considerazione: ricordiamoci che la Clinton aveva vinto nel voto popolare, ma poi ha perso in quello dei grandi elettori, previsti dal sistema americano. È un elemento importante. Ci sono anche grandi elettori infedeli, che si sono espressi per un candidato ma che potrebbero votare per un altro. E qui il fatto di essere una donna e di essere espressione delle minoranze per Harris potrebbe incidere.
(Paolo Rossetti)
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