L’entusiasmo spinge Kamala Harris verso la rimonta su Trump. Tuttavia, i toni usati da alcuni media per descrivere il suo recupero sono in certi casi fin troppo trionfalistici. La corsa per la Casa Bianca è apertissima, anche perché i sondaggi cambiano abbastanza velocemente. Se i dati del Financial Times, per esempio, danno in vantaggio Harris rispetto al tema dell’economia, quelli di Associated Press (AP) ribaltano la situazione.



La verità, osserva Rita Lofano, direttore responsabile dell’AGI, è che ora la Harris dovrà presentare il suo programma e i repubblicani le chiederanno conto delle sue posizioni liberal espresse nel 2016 e nel 2020, in occasione delle sue candidature al Senato e alle primarie democratiche. Su questo banco di prova si verificherà la tenuta dei sondaggi, che oggi sembrano così favorevoli alla candidata democratica.



I sondaggi la danno in ripresa, ma per Kamala Harris sta arrivando il momento cruciale della campagna elettorale: è il momento di presentare il suo programma. Reggerà a questa seconda fase?

Sarà la prova del nove per lei. Finora è stata trascinata dall’entusiasmo, perché ha riaperto la partita con Trump. Tuttavia, i sondaggi sono stati smentiti diverse volte. Harris sta performando meglio di Biden, ma ciò che conta sono gli stati in bilico. Anche dove la candidata democratica è avanti, il vantaggio è marginale. Io parlerei piuttosto di un testa a testa.

L’entusiasmo ha un po’ coinvolto anche i media: un minimo vantaggio di Harris viene spesso presentato con toni trionfalistici. La situazione è così definita?



La vera notizia è che ora c’è una corsa alla Casa Bianca. Detto questo, il New York Times, tanto per fare un esempio, è passato dall’attaccare aspramente Kamala Harris al santificarla e darla già per vittoriosa. Sui giornali non c’è un confronto vero tra i due contendenti e neanche tra i giornalisti e i due candidati. Anche nella conferenza stampa a Mar-a-Lago le domande per Trump sono state soft, mentre la Harris non l’ha proprio fatta.

Intanto Trump si è fatto intervistare da Elon Musk. Aveva bisogno di un evento come questo per rilanciarsi?

Su X ha avuto il suo peso. Musk sostiene che sia stata seguita complessivamente da un miliardo di persone. Un endorsement e una cassa di risonanza non da poco. Twitter ha rivoluzionato la comunicazione di Trump, portandolo nel 2016 alla Casa Bianca. Musk furbamente ha detto che non si trattava di un’intervista, ma di una chiacchierata con un interlocutore amico, per fare in modo che potesse esprimersi nel modo più naturale. Un momento che può segnare un cambiamento: Trump potrebbe tornare a usare X. È anche un modo per far tornare i riflettori su di lui.

Cosa ci dicono nello specifico i sondaggi che ora danno in vantaggio la Harris?

Vedo una corsa aperta. Mi ha sorpreso il Financial Times, blasonatissimo giornale finanziario della City, che dà la Harris in vantaggio 42% a 41% sulle questioni economiche. Secondo me è un po’ difficile da credere. Infatti, la AP dice che su economia e immigrazione c’è una percentuale maggiore di elettori che vede con favore Donald Trump, mentre Harris è considerata più onesta e disciplinata. D’altra parte, il tycoon è quello di “Make America Great Again” e sull’immigrazione è quello del muro. Insomma, i sondaggi dicono tutto e il contrario di tutto a distanza di pochi giorni. Dai giornali mi aspetterei un po’ più di realismo.

Ora, tuttavia, la campagna elettorale sta entrando nel vivo. Come si articolerà lo scontro Trump-Harris?

Andando verso il faccia a faccia del 10 settembre, bisogna entrare nel merito delle politiche. Trump ci ha messo un po’ a riprendersi dalla novità Harris, ma secondo me si sta ritarando: per esempio si è riposizionato su X.

Intanto è uscito il dato sull’inflazione americana, che è sotto il 3%. Un punto a favore della Harris?

Una bella spinta per Biden. Trump nel colloquio con Musk ha parlato continuamente dell’inflazione alta e del carrello della spesa. È una soglia importante, psicologica e non solo. Harris e Biden tireranno fuori questo tema: potrebbero togliere un argomento a Trump, soprattutto se a settembre la Fed dovesse tagliare i tassi.

Un’altra spinta per la Harris, che però prima o poi dovrà pure presentare i suoi piani: è questo il suo vero banco di prova?

Finora non ha detto quello che pensa praticamente su nulla. Non sappiamo qual è il suo programma politico. È tutto molto controllato: è schiacciata dal fatto che non può smentire Biden, di cui è ancora vicepresidente. I repubblicani poi tireranno fuori la sua agenda politica quando ha corso per il Senato nel 2016 e alle primarie democratiche per la presidenza nel 2020. Aveva fatto una campagna di estrema sinistra: voleva de-finanziare la polizia, aprire le frontiere a tutti e garantire le cure sanitarie anche ai clandestini. L’assistenza sanitaria universale negli USA è praticamente impossibile. Ho sentito americani dire: “Perché devo pagare l’assistenza sanitaria a chi non può permetterselo? Magari non si cura, mangia male, non va in palestra e poi, quando si sente male, devo pagare io?”. Una cosa difficile da digerire anche per gli elettori democratici. Il programma di Harris non era diverso da quello di Bernie Sanders o Alexandria Ocasio-Cortez, quindi l’ala liberal. Certo, voleva catturare l’attenzione alle primarie, mentre essere il candidato di tutto il partito è un’altra cosa.

Il momento cruciale sarà il dibattito televisivo tra i due candidati?

Il dibattito sarà una prova importante, ma lo saranno anche i confronti con la stampa, soprattutto se i giornalisti faranno le domande giuste. E questo vale per entrambi i candidati. Bisognerà vedere se l’idillio di Harris con l’elettorato continuerà anche quando comincerà a dire come la pensa. E non solo sui diritti delle donne. Ha alzato un polverone l’idea di Harris di detassare le mance, una proposta di Trump che i democratici hanno sempre giudicato un contentino elettorale. I democratici prendono in considerazione l’intervento pubblico in certi settori, ma non dobbiamo pensare a uno stato sociale sul modello europeo.

Quale sarà la prima prova per la Harris?

Tra poche ore presenterà il suo programma economico in North Carolina, uno Stato in bilico in cui i democratici hanno vinto solo con Jimmy Carter e Barack Obama.

Nancy Pelosi ha organizzato un incontro per Kamala Harris a San Francisco, raccogliendo 13 milioni di dollari: c’erano Reid Hoffman, cofondatore di LinkedIn, Jeffrey Katzenberg, ex presidente dei Walt Disney Studios, Aaron Levie, amministratore delegato di Box. Questo mentre Musk intervistava Trump. La Silicon Valley è definitivamente spaccata tra i due candidati?

Sì, questa è una delle novità della campagna elettorale. Prima Peter Thiel, cofondatore di PayPal, era l’unico repubblicano, mentre adesso c’è una Silicon Valley che non è più solo democratica. Tra l’altro, una parte si sta spostando dalla California al Texas: Musk ha il suo quartier generale ad Austin, capitale di questo Stato. Le star di Hollywood, invece, restano democratiche. I soldi, comunque, vanno sempre sul candidato che ha più chance di vincere, i donors non li buttano via…

(Paolo Rossetti)

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