All’indomani dei fatti di Butler (Pennsylvania), dove Donald Trump è scampato a un attentato, conviene essere diretti. Non so se altri avessero previsto questo attentato già nel lontano settembre del 2016. Scrivevo allora: “Trump deve stare attento allo ‘Stato parallelo’ demo-repubblicano e al suo potenziale di provocare incidenti di percorso (al limite, pensiamo ai Kennedy)”. Non so neppure se qualcuno abbia persistito su questa traccia praticamente fino all’altro ieri, scrivendo della “eccezionale novità” di Trump come “terrificante per la politica politicante” (americana), novità che “sarebbe stata probabilmente neutralizzata, una volta, in quello stile Far West di cui sono stati vittime John Kennedy, Malcolm X, Robert Kennedy, Martin Luther King”. Ed è inutile sottolineare come quel “una volta” fosse ironico e significasse: “può accadere domani”.



Tutto ciò lo ricordo non per farne un caso di eccezionale lungimiranza, ma per la ragione esattamente contraria: se perfino un non-professionista della politologia prevede da anni il ricorso alla violenza omicida in quanto rimedio a una percepita emergenza, come spiegare lo stupore che oggi ci risuona intorno, senza ricorrere a parole pesanti come “cospirazione del silenzio” e “malafede”?



Ma è meglio evitare i termini rissosi; e quanto alle spiegazioni, qui non si pretende di offrire nulla di simile, ma semplicemente di enunziare alcuni temi su cui riflettere nei prossimi giorni.

Temi diversi, ma la cui radice è la stessa: l’odio come eccesso di ostilità. Purtroppo non sembra esistere un algoritmo per misurare questo eccesso o sproporzione; ma è da qui che bisogna partire. L’ostilità (che si manifesta nella critica opportunistica, nella polemica costante, nella maldicenza o caricatura, ecc.) è, piaccia o no, merce corrente nella politica; e qualunque cosa accada, non se ne prevede la scomparsa nel futuro.



Ma quell’eccesso di ostilità che è il vero e proprio odio ha radici diverse: grovigli profondi e oscuri. Per esempio: a una cena pariolina, l’anno scorso, capitò a chi scrive di sentire un commensale forse ingenuo esclamare a un certo punto, a proposito di un importante personaggio della politica italiana: “Insomma, perché odiate tanto X?”; e ricevette una serie di risposte razionalizzanti e indignate: “Ma non sai qual è stata la sua ultima proposta in parlamento?”, “Ma non sai che cosa succederebbe se passasse il suo disegno legge?”, “Ma non sai cosa ha detto l’altro giorno?” ecc.; cioè: nessun tentativo di scendere al fondo, di ammettere quello che vibrava: non in quelle parole di gergo, ma sotto di esse. E non è poi troppo difficile vederle, queste radici, perché sono sempre le stesse: l’odio – come è stato giustamente detto – nasce essenzialmente dalla mancanza di immaginazione. Immaginazione estetica, prima di tutto; quella che sembra innocua, e invece miete tante vittime in politica.

Lo stile volutamente plebeo – plebeo nel senso dei Gracchi e di Caligola – o se vogliamo dadaista, di Trump (che si è formato nel mondo dei media) sembra studiato apposta per sfidare la mancanza d’immaginazione, dunque l’odio dentro cui opera, nei confronti  di Trump e di chi gli assomiglia, la maggior parte dei membri delle cinque grandi fabbriche di ideologia cui si è ridotta attualmente la cultura americana: l’industria di Hollywood e l’industria informatica (vedi per entrambe la California), l’industria del teatro (vedi New York), l’industria accademica (vedi un po’ dappertutto), e l’industria della stampa di “informazione” (vedi New York e Washington, dove i giornalisti pro-democratici superano di dieci a uno i giornalisti pro-repubblicani). Queste industrie del pensiero unico, che hanno ampiamente colonizzato l’Italia, sono in effetti le macchine da guerra – altrettanto pericolose del “complesso militare-industriale” di cui parlava Eisenhower – che formano il pensiero massificato; e non perdonano.

L’altra forma di immaginazione è l’immaginazione etica, che sembra quasi opposta alla prima, ma in realtà è complementare: in entrambi i casi (l’estetico e l’etico) l’odio diminuisce gravemente la nostra capacità di metterci nei panni degli altri. L’immaginazione estetica è indispensabile per comprendere il carattere e i comportamenti altrui; e quella etica ci fornisce l’equanimità necessaria per accettare le differenze. Peccato che un certo gruppo di furboni (solennemente chiamati “Stato parallelo” o “Stato profondo”) abbia guastato tutto ciò, e pare aver pensato alla versione Far West – sempre qui siamo – del simul stabunt vel simul cadent (resisteranno insieme, o insieme cadranno): visto che sembra possibile pensionare il vecchio Biden con le buone, ma non pensionare con le buone il vecchio Trump, perché – questa pare essere stata la bella pensata – non pensionare Trump con le cattive?

P.S.: Dicono che quel piccolo sicario fosse allineato con il partito repubblicano. Ah, i misteri della politica. Che poi sono quelli della vita, e della morale.

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