MINNEAPOLIS – Di questi tempi le front yards delle case di tutta l’America suburbana si colorano di cartelli rossi e blu. Piantati nell’erba a ricordarci ed incoraggiarci a votare tizio e caio. I cartelli davanti alle case faranno compagnia alle zucche di Halloween fino all’inizio di novembre e poi se ne andranno (fortunatamente) mentre le zucche continueranno a tenerci compagnia ancora per un po’. Rossi e blu, dicevamo, ma soprattutto blu, cioè democratici. La cosa interessante non sta tanto nell’obbrobrio estetico di questi cartelli (le zucche sono mille volte più belle), quanto nel fatto che in una terra dove i candidati alla presidenza e alle varie cariche in gioco lottano testa a testa, la battaglia dei cartelli è stravinta da Harris e compagni.
Com’è questa storia?
Semplice: mostrare la propria preferenza per Kamala Harris è in linea con il pensiero dominante, quindi si può fare e nessuno si scompone. Mostrare la propria preferenza per Trump è socialmente sconveniente quindi meglio non farlo sapere in giro. Se sono un professionista, una figura pubblica, o semplicemente una “personcina a modo”, insomma uno che la gente tratta con rispetto, è bene che non faccia sapere in giro che voterò per Trump, altrimenti quel rispetto rischio di perderlo.
È per questo che non credo più di un tanto nei sondaggi. La Harris sarà certamente avanti, ma non di così tanto come si dice in questi giorni, perché la schiera di votanti occulti che spinge Trump è più ampia di quanto si pensi. Votare Trump senza ammetterlo, questa è quasi una condizione imprescindibile per la sopravvivenza sociale.
C’è da dire che i sostenitori di Donald che non si vergognano di esserlo sono sempre in campo a combattere coraggiosamente la loro campagna elettorale. Come il capo gruppo preghiera della Cattedrale, che l’altro giorno si è presentato in chiesa con una maglietta che proclamava “Jesus is my Savior, Trump is my President”.
Cartelli o non cartelli, magliette o non magliette, la scelta resta difficile.
God Bless America
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