Mentre corrono veloci i giorni verso il voto del 5 novembre, Kamala Harris e Donald Trump hanno ormai superato l’effetto-notizia dei due grandi eventi imprevisti del mese scorso, ovvero l’attentato al candidato repubblicano e la sostituzione in corsa del logoro Biden con la sua vice.

I sondaggi ora risentono meno delle fluttuazioni emotive e si sono stabilizzati, con il recupero democratico a livello di alcuni mesi fa in alcuni Stati-chiave. Qui, sia pur di poco, sarebbe oggi la Harris a vincere e Trump si trova ad inseguire.



Subito dopo Ferragosto sarà il momento della Convention democratica di Chicago con le grandi coperture dei media e il prevedibile tripudio generale, con la consacrazione ufficiale a candidata democratica della attuale vicepresidente, poi – calato il sipario su una Convention dall’esito scontato – la parola sarà ai dibattiti diretti e alle battute di ogni giorno.



Il dato più interessante è ormai la radicalizzazione dei due schieramenti: oltre l’80% degli elettori hanno già fatto la loro scelta e non si schioderanno più dalle proprie opinioni, salvo improbabili colpi di scena, dopo che è “tornata a casa” l’ondata di simpatia di molti democratici “tiepidi” che si era avvicinata a Trump per solidarietà dopo l’attentato che aveva subito.

In questa situazione il punto debole di Kamala Harris è proprio lei stessa, ovvero che cosa abbia rappresentato e realizzato negli ultimi anni. Sarà determinante vedere come Trump la attaccherà su questo versante, perché non va dimenticato che uno dei motivi che frenavano per il ritiro di Biden era proprio la debolezza della sua vice che – passata l’ondata delle lodi e dei consensi – torna ad essere il vero problema.



Non lasciamoci condizionare dai media italiani che sono in gran parte pro-democratici. E Cerchiamo di capire meglio i sentimenti dell’elettore americano che, spesso, si comporta diversamente da come è dipinto nel nostro Paese. Per esempio molti dem (che pur non sopportano Trump) condividono però alcuni suoi punti programmatici sui quali la Harris è più volte scivolata in passato: immigrazione, assistenza sanitaria, detassazione fiscale.

Sul sistema sanitario americano in Italia si continuano a scrivere molte sciocchezze, perché gli americani non vogliono davvero – almeno in buona parte – una assistenza pubblica generalista. Sudano per pagare i contributi alla propria assicurazione privata, ma sanno che in cambio avranno cure adeguate, mentre una assistenza pubblica generale abbasserebbe il livello delle prestazioni. La proposta democratica – per esempio – di allargare le cure gratuite agli immigrati che non hanno pagato e non pagano contributi è considerata demagogica, costosa, ingiusta e in definitiva messa a carico di chi già paga di più, non fosse che per il dirottamento di fondi federali e statali. La “sinistra” che segue Harris lo considera un obiettivo di equità sociale importante, ma molti democratici sono contrari e su questo Trump picchierà sodo, sottolineando il fallimento delle iniziative che i democratici hanno portato avanti negli anni scorsi su questa riforma propugnata da Obama.

Lo stesso vale per la detassazione delle mance, che in USA sono un elemento importante del reddito di intere categorie soprattutto di medio e basso livello: un “feeling” verso questa proposta di Trump che ha fatto breccia in molti settori dell’elettorato soprattutto di prima immigrazione.

Il problema non è quindi se votare o meno repubblicano (oggi il partito è in crescita e lo si vedrà nei voti al Congresso), ma – almeno per molti – accettare la figura di Trump, come sempre divisiva. Il tycoon sembra non riuscire a darsi una calmata, come gli chiedono molti suoi consulenti di immagine.

Eppure è giocando su programmi ed attaccando la Harris per le sue passate debolezze che Trump può vincere, non certo con gli insulti, nonostante – da subito – anche la Harris si sia subito contraddistinta con battute ben più graffianti e provocatorie contro di lui che non quelle di Biden. Servivano per tirar su il morale degli spenti democratici, ma ora in qualche modo non possono reciprocamente bastare.

Come sempre, alla fine, conterà poi quanti andranno a votare, chi mobiliterà di più i propri supporter e in questo senso la scelta della Harris di nominarsi come vice il governatore del Minnesota Tim Walz forse non si dimostrerà felice, “coprendo” sì l’elettorato bianco progressista, ma posizionandosi ulteriormente su posizioni liberal di sinistra e riaprendo quindi spazi per Trump.

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