Trump che capitalizza una serie di situazioni, compresa quella dell’attentato da cui è uscito sostanzialmente indenne, i democratici che sono quasi rassegnati alla sconfitta nella corsa alla Casa Bianca e sperano solo di mantenere almeno la supremazia al Senato. L’esito della campagna elettorale di Joe Biden o di chi per lui potrebbe essere ormai segnato, se anche il New York Times di fatto sostiene che la strada della vittoria nelle presidenziali di novembre per l’attuale presidente americano è praticamente già sbarrata.



Certo, spiega Francis X. Rocca, giornalista americano, ex corrispondente in Itali del Wall Street Journal, i democratici possono cercare di cambiare strategia, smetterla, almeno per un po’, di dipingere Trump come il diavolo in persona e puntare sui contenuti del loro programma, ma è difficile comunque smuovere l’elettorato con questi argomenti. Tanto più che anche Trump sembra voler abbassare i toni, abbandonando quelli aggressivi di sempre per puntare su appelli all’unità, più consoni ad attirare il voto degli indecisi.



Come può influire l’attentato fallito di Butler sulla campagna elettorale di Trump e del suo avversario?

Non ci sono ancora sondaggi dopo l’attentato, non è ancora chiaro che impatto abbia avuto sugli elettori. Certo che le immagini di Trump coraggioso, che agita il pugno in aria, hanno entusiasmato i suoi elettori, e i democratici, almeno per qualche giorno, hanno abbassato i toni della loro retorica evitando di attaccarlo. Trump esce da un periodo caratterizzato da una serie di situazioni che giocano a suo favore: la sentenza della Corte suprema, l’archiviazione dell’inchiesta sui documenti riservati trafugati, il fatto di essere uscito indenne dall’attentato. Non si parla più neanche di sostituire Biden, che quindi potrebbe restare il candidato democratico. Anche questo l’ex presidente lo considera un vantaggio.



È cambiato anche il suo atteggiamento?

Sembra che Trump sia rimasto molto turbato dall’esperienza dell’attentato, che abbia strappato il discorso aggressivo che aveva preparato per la Convention repubblicana, optando per un altro più centrato sull’unità. Quando è arrivato a Milwaukee aveva un’espressione molto diversa dal solito, pensierosa. Un atteggiamento che potrebbe attirargli le simpatie di qualche elettore indeciso. Anche perché per il momento, appunto, i democratici non lo stanno attaccando. Probabilmente non durerà molto ma per adesso è così.

I democratici, quindi, aspetteranno un po’ prima di tornare ad alzare i toni dello scontro verbale?

Sì, anche se si dice che molti si siano rassegnati a perdere la Casa Bianca. Cercheranno almeno di mantenere la maggioranza al Senato e ridurre il divario alla Camera. Proprio perché tutto sembra favorevole a Trump e Biden esce indebolito da settimane di critiche interne al suo partito.

Su quale strategia e quali tempi potrebbero puntare i democratici per tentare almeno di invertire la rotta?

Hanno descritto Trump come il cattivo, una minaccia esistenziale per la democrazia, adesso evitano di usare questa retorica, di parlare come se si fosse nella Germania del 1933. Possono puntare sulle loro proposte riguardo al lavoro, alle tasse, alla politica commerciale ed estera, anche se non so quanto la gente possa entusiasmarsi su questi temi: può essere che sia più difficile coinvolgere le persone restando su questo piano. Trump ha preso anche un vice molto giovane, sotto i 40 anni, questo sottolineerà ancora di più la vecchiaia di Biden. E l’immagine emblematica dell’attentato nella quale agita il pugno con sullo sfondo la bandiera americana renderà più difficile dipingerlo come un dittatore, come un diavolo.

I repubblicani, insomma, hanno un grande vantaggio da gestire?

Sì, i democratici sono divisi e scoraggiati, sono più propensi a non andare a votare.

Per come è fatto il sistema elettorale bisogna ragionare più in termini di vittoria nei singoli Stati che di consenso complessivo a livello nazionale. Biden sta perdendo terreno anche negli Stati in cui il successo sembrava sicuro?

Sembra di sì. In un articolo sul New York Times un politologo non schierato, che ha lavorato anche per Clinton e Obama, ha scritto che la strada della vittoria per Biden è praticamente chiusa.

La variabile Kennedy, terzo incomodo come candidato indipendente, può cambiare il quadro? In fondo alcuni sondaggi gli conferiscono molti consensi, oltre il 10%: potrebbe incidere sui risultati dei due principali concorrenti alle presidenziali?

In alcuni Stati basta qualche centinaio di voti per cambiare tutto e c’è un dibattito aperto sulla possibilità che Kennedy possa sottrarre voti più a Trump o a Biden. Credo che possa danneggiare più l’attuale presidente, per due motivi: il primo è che Trump ha chiesto alla Casa Bianca di dare protezione anche a Kennedy, vuol dire che non lo teme come avversario. Ha chiesto anche al suo avversario di rinunciare alla candidatura e di sostenerlo, la risposta di Kennedy però è stata che non vuole abbandonare la corsa alla Casa Bianca. Il secondo motivo è che molti elettori sono poco informati, non escluderei che alcuni votino per lui solo perché ricordano il nome della sua famiglia. Alcune sue idee sono diverse dai democratici, ma visto il suo background credo che sia più facile che siano gli elettori democratici a votare per lui.

(Paolo Rossetti)

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