La Corte Suprema degli Stati Uniti, nella sua sentenza pubblicata lunedì 4 marzo, è nuovamente intervenuta su una tematica cruciale per le prossime elezioni presidenziali, con una decisione all’unanimità che è da molti vista come una vittoria per l’ex presidente Donald Trump. Il caso in questione nulla c’entra con quanto stabilito la scorsa settimana circa la necessità di verificare una possibile immunità presidenziale per gli atti posti in essere durante l’esercizio delle proprie funzioni; riguarda invece la possibilità per uno Stato di bandire un candidato dalle elezioni presidenziali.



Nella fattispecie un gruppo di cittadini del Colorado aveva richiesto ai giudici statali di bloccare la candidatura dell’ex presidente. Secondo questo gruppo di elettori, e secondo la Corte suprema del Colorado che gli aveva dato ragione, gli atti compiuti dal tycoon dopo la sua sconfitta alle presidenziali di novembre 2020, ed in particolare i suoi discorsi fatti e postati sui social prima del 6 Gennaio 2021, sono definibili “insurrezione” e lo Stato del Colorado può quindi azionare quanto previsto dalla terza sezione del 14esimo emendamento della Costituzione USA che impedisce a chi ha compiuto atti di insurrezione o ribellione di ricoprire incarichi pubblici federali.



La Corte Suprema ha, con un voto all’unanimità, riformato la decisione del Colorado e quindi permesso all’ex presidente di candidarsi in quello Stato. La Suprema Corte ha sottolineato come il potere di prendere decisioni sulla legittimità o meno di una candidatura alle presidenziali possa essere esclusivamente del Congresso federale e non sia in capo ai singoli Stati.

L’importanza di questa decisione non si limita a mettere un tassello al complicato puzzle di distribuzione di poteri interno al federalismo americano, ma sottolinea l’importanza del Congresso, organo democraticamente eletto, nello stabilire criteri, motivazioni e procedure in base alle quali sia possibile impedire una candidatura o un’elezione di chi è chiamato a ricoprire cariche pubbliche ed in particolare del presidente.



In questo modo la Suprema Corte limita fortemente la possibilità di intervento non solo delle magistrature statali, ma anche di quelle federali su tematiche relative alla eleggibilità del presidente USA ed alla sua possibilità di rimanere in carica in caso di eventuali condanne: solo con un atto legislativo del Congresso è possibile azionare la dichiarazione di insurrezione o ribellione verso gli Stati Uniti e procedere così a dichiarare un funzionario, o lo stesso presidente, ineleggibile ed eventualmente rimuoverlo dalla carica.

Anche i tre giudici liberal della Corte si sono detti favorevoli al verdetto, cercando però di limitare la questione ad un tema di distribuzione di poteri tra singoli Stati e Stato federale, sottolineando come il permettere ad uno Stato di contestare la legittimità di una candidatura presidenziale avrebbe portato ad una situazione confusionaria in cui con riferimento alla stessa normativa e agli stessi principi costituzionali ogni Stato avrebbe potuto agire in maniera diversa, minando quindi il principio stesso di governo federale.

Donald Trump ha commentato la decisione della Corte sottolineandone l’importanza per tutti i prossimi presidenti americani, poi il fatto che la stessa garantisce l’unità di tutti gli Stati Uniti e infine il fatto che dopo questa sentenza risulta molto più difficile l’utilizzare la magistratura per impedire ai propri rivali di candidarsi.

La citata decisione è stata pubblicata dalla Corte in anticipo rispetto alle solite tempistiche con cui le decisioni vengono pubblicate, in quanto oggi, martedì 5 marzo, è il cosìddetto Super Tuesday, la giornata in cui si svolgono le primarie in 15 Stati contemporaneamente (e tra questi c’è anche il Colorado). L’ex presidente è in grande vantaggio, sia nei sondaggi che nei risultati ottenuti fino ad oggi, sull’unica sfidante rimasta, l’ex ambasciatrice USA presso l’ONU Nikki Haley, la quale ha però appena ottenuto la sua prima vittoria in queste primarie: ha conquistato oltre il 50% dei voti nel District of Columbia, che comprende essenzialmente solo la capitale Washington. Questa vittoria, poco influente sul risultato generale in quanto vengono assegnati solo 19 delegati sui 1215 totali, dimostra i buoni risultati della Haley con un elettorato moderato ed istruito, elettorato però che da solo non basta né per ottenere la nomination, né per diventare presidenti.

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