Negli USA molto si sta muovendo, e molto rapidamente. L’ultima doccia fredda in ordine di tempo è stata l’indagine del procuratore Robert Hur, che ha definito Biden persona “dalle facoltà mentali diminuite”. L’altro ieri c’è stata la dichiarazione di Kamala Harris di essere “pronta a servire”. Poi Borrell, alto rappresentante UE, che ha strigliato Biden su Israele e Trump per le sue dichiarazioni sulla NATO. Impensabile fino a 15 giorni fa.
Insomma, tanti puntini da unire, solo apparentemente a schema libero. Nell’ottobre scorso Chris Foster, investitore, ci aveva svelato come funziona la democrazia americana mentre si appresta a celebrare il suo “rito” politico principale, quella elettorale. Con lui abbiamo fatto un nuovo punto della situazione, e ci siamo ritrovati di nuovo dietro le quinte.
Si parla sempre di più, in modo ormai trasversale, di rimpiazzare Biden nei prossimi mesi. Lei lo diceva in tempi non sospetti. Siamo arrivati al dunque?
Sì. Biden può rimanere in corsa solo se Donald Trump viene eliminato prima. A quel punto l’establishment dem-GOP può accordarsi per un’elezione pacifica in cui Nikky Haley vince e Biden esce di scena senza essere umiliato. Questo è al momento il best case scenario da parte democratica.
Davvero lei crede che il partito democratico possa tifare Nikky Haley? Mi sembra una lettura azzardata.
Infatti in pochi capiscono cosa sta succedendo davvero. A rischio di insistere su questo punto, ribadisco un aspetto chiave che la gran parte dei giornalisti e politici europei non ha capito o preferisce non esplicitare. In USA c’è di fatto, da sempre, un solo partito, il partito del Pentagono e dell’establishment dei due grandi partiti, dei big donors, cioè famiglie storiche, tech billionaires e grandi società. Trump da un lato e per qualche anno Bernie Sanders dall’altro hanno cercato di scalfire questo business model. Trump c’è riuscito solo grazie alla donna più detestata d’America, Hillary Clinton, non grazie al supporto del “suo” partito.
Dunque lei rimane dell’idea che Trump non sarà il candidato del GOP.
In generale, penso che le trappole per DJT (Donald Trump, nda) non siano finite e fino all’ultimo si cercherà di eliminarlo per via giudiziaria. Tuttavia, si sta preparando anche una strategia di attacco frontale contro di lui per creare le basi di una sconfitta alle elezioni, se ci arriva.
Ipotizziamo che Trump arrivi al 5 novembre. In che modo potrebbe perdere?
Quando si parla di politica americana, la fantasia più creativa può solo spiegare una frazione della realtà, quindi sono abbastanza sicuro che gli eventi dei prossimi mesi supereranno gli scenari ipotizzati, sia nel caso di una rimozione forzata, sia nel caso di una sfida contro l’altro candidato e non escluderei un’escalation militare per compattare il fronte centrista-moderato, se esiste ancora, contro l’imprevedibilità e l’inesperienza di un Trump al potere nel mezzo di un grande e complesso conflitto. Un attacco all’Iran, per capirci.
Continui.
Immaginerei uno scenario in cui i Tech Giants si coordinano anche meglio del 2020 e X (Twitter) viene sistematicamente “silenziato” dall’ecosistema Google-Youtube e Facebook, essendo nelle mani dell’unico imprenditore tech non allineato contro DJT. È possibile che un candidato dem come Michelle Obama o Gretchen Whitmer (governatrice del Michigan, nda) possa essere preso in considerazione per evitare il disastro di un possibile dibattito televisivo Biden-Trump.
Un dibattito che non deve avere luogo.
Assolutamente no. Se invece Biden rimane, più come simbolo sulla scheda che come politico in campagna elettorale, immaginerei che il dibattito si sposterà da “Trump vs. Biden” a qualcosa di simile a una battaglia referendaria, per esempio “pro-Choice vs. pro-Life”, cercando di polarizzare il mondo femminile e i giovani verso il lato dem. Quindi il colpo di scena potrebbe essere una donna che affronta DJT con una tecnica abbastanza potente, cioè l’approccio “movimentista” che ha permesso la costruzione e il successo del personaggio Obama.
Di cosa parliamo esattamente?
Movimentismo, se questa è la parola giusta, significa per me spingere al voto la popolazione giovane, di colore e ispanica sulla base di temi emozionali e talora costruiti sul fattore panico-emergenza-scelta vitale. È in questo che ha fallito la Clinton, perché dall’alto della sua arroganza pensava di sconfiggere DJT con argomenti legati alla sua esperienza e ai suoi successi politici.
Quando invece serve una polarizzazione più ideologica, giusto?
Sì. Le elezioni USA, se si arriva a Trump-Biden o Trump contro qualcun altro, saranno presentate come un referendum democrazia-dittatura, Western World vs. Russia, donne libere vs. modelli sociali retrogradi, popolazione vecchia/bianca privilegiata vs. giovani/neri, salvatori green del pianeta vs. distruttori/inquinatori. Il tema ambientale, per esempio, non è per nulla in calo, anche se le vendite di EVs (Electric Vehicles, nda) sono in declino, anzi è necessario spingere ancora di più sui fattori emergenza e urgenza! Non ultimo, diritti LGBTQ vs. ritorno al medioevo, e così via.
Trump vs. Biden: chi vincerebbe?
Penso Biden.
Non la seguo. Nella sua situazione attuale, come può “Sleepy Joe”, un presidente “dalle facoltà mentali diminuite” affrontare le elezioni in novembre?
Molto semplice. Come dicevo prima, assisteremmo a un referendum movimentista. Ci sarà in quel caso una donna come vicepresidente e quindi la futura staffetta si potrebbe preannunciare in campagna elettorale. Una maggioranza schiacciante dell’elettorato democratico voterebbe come a un referendum – cioè contro DJT, non per Biden –, in più il fattore movimentista potrebbe spingere un po’ più di giovani e ancora più donne al voto dem, mentre forse un 20% del GOP potrebbe non andare nemmeno a votare. Mitch McConnell, Mitt Romney, Liz Cheney non voteranno Trump in nessun caso, e stiamo parlando dei profili più visibili del partito. E faranno potenzialmente campagna contro DJT per supportare il partito unico, quello del Pentagono e del Deep State. Avete visto la lista dei senatori GOP che hanno appena votato il pacchetto pro-Ucraina e Israele? Non serve un politologo per capire cosa sta succedendo nel partito. E siamo solo alla parte soft.
E la parte hard quale sarebbe?
Be’, i soldi contano. Le elezioni sono una grande operazione economica, in cui chi dona è di fatto investitore. Il mio cinismo può dare fastidio, ma le cose si capiscono meglio così.
Facciamo un esempio concreto?
Chi dona oggi 1 million a Nikky Haley lo fa principalmente per due ragioni. La prima: sa che la signora non ha in realtà zero chances di essere presidente, cioè pensa o sa che Trump sarà eliminato. Quindi fa un investimento nel futuro certo presidente, se passa le primarie. E quindi riceverà poi dall’amministrazione un multiplo dell’investimento come ritorno economico per sé o per le proprie aziende.
La seconda ragione?
Il donor è cosciente delle basse probabilità di vittoria della sua candidata ma lancia un segnale inequivocabile di “commitment al sistema”, e cioè al partito unico. Il quale poi in varie forme, indipendentemente dai risultati elettorali, provvederà al meritato ritorno economico del donatore. Quindi è un investimento con un rendimento quasi certo, potenzialmente enorme, visto che, facendo due conti, la “discretionary public spending” – solo a livello federale! – è di circa 2 trillions ed è un trend di crescita abbastanza spettacolare da 15 anni. Due trillions all’anno, che evidentemente non includono la spesa sociale, Healthcare, Education, eccetera. Diciamo che c’è spazio per ringraziare i generosi donatori per decenni.
E quindi come si influenza il processo di donations?
Basta fare il percorso opposto, cioè organizzare una massiccia campagna contro donors – aziende, imprenditori – e media che stanno dal lato “sbagliato” e minacciare ritorsioni ben più gravi a tutti i livelli. Nulla è più facile e credibile nell’attuale contesto USA: media, NGOs, Wall Street, sistema giudiziario… Se si chiudono i rubinetti, la partita è finita prima di iniziare.
Un caso specifico?
La conferma è proprio Nikki Haley, una candidata debole che avevo sovrastimato in termini di capacità su molti fronti, si vedano i dibattiti delle primarie: catastrofici! La Haley è stata coperta di denaro da donors GOP anti-DJT e da grandi imprenditori democratici, nonché spinta dai Big Corporate Media dem. Insomma, il partito unico. Qualcosa di molto simile a ciò che si intravede a Bruxelles con il partito-Ursula. Le enormi risorse finanziarie hanno fatto emergere Haley e la mantengono in corsa nonostante fosse molto meno competente e telegenica di Vivek Ramaswamy e meno di successo di Ron DeSantis come governatrice.
Perché i giornali europei ci presentano un quadro per lo più scontato, ispirato al solito refrain democrazia contro autocrazia?
Tema interessante. A mio parere c’è una differenza sostanziale tra la stampa USA e gran parte della stampa europea, con unica eccezione l’FT, che ha una idea molto precisa di cosa è in gioco a novembre.
Ci dica.
La stampa USA di un certo livello sa che il tema non è la dittatura di Trump contro la democrazia di Biden e così via, con i soliti contrasti tra bene e male dei predicatori di valori liberal da ambedue i lati dell’Atlantico. In USA solo Hollywood e show business si strappano i capelli per il rischio “dittatura e fine del progressismo” e via dicendo. Invece l’establishment ha capito che queste elezioni sono davvero un evento decisivo per la sua sopravvivenza, un evento dal valore esistenziale. Dalla governance del DoJ e dell’FBI fino al Pentagono, alla SEC e alla FED: sarebbe uno shock sismico per quel Deep State che controlla e amministra il Paese per conto del partito unico. È paradossale, ma in Europa si sta sottovalutando il vero effetto dell’uragano DJT perché ci si concentra solo sui “valori” menzionati prima e sul fatto che DJT è “impresentabile”. Come tutti i suoi sostenitori, di conseguenza.
Quindi ci sta dicendo che da noi si sottovaluta il vero effetto Trump?
Assolutamente sì. Cecità ideologica, incompetenza, e l’asservimento alle “linee guida” di Washington-Bruxelles, e cioè quello che si legge su NYT, Economist, FT, Washington Post hanno prodotto riflessioni superficiali e poco dibattito politico. Pochi opinion leaders e politici europei si pongono domande sul perché circa metà degli elettori USA supporterà ancora DJT. Ancor più importante è il fatto che i media europei non si rendono conto che l’establishment americano non è terrorizzato dalla possibile sconfitta dei valori liberal a favore di quelli cosiddetti retrogradi-conservatori. A un certo livello, ai vertici dei due partiti, nelle grandi ONG e nei Board of Directors dei colossi del web non interessa nulla di aborto/diritti delle donne, LGBTQ+, politiche a sostegno delle minoranze nere e ispaniche e forse ancora meno dello scioglimento della calotta polare.
Eppure ci danno ad intendere proprio questo.
Lo so. Ma non è così. Si tratta invece di mantenere un controllo tendente all’assoluto sul sistema bellico e sulla finanza, sull’informazione e sul Free Speech, cioè evitare che sia ammesso. Ricordo che il Pentagono, solo un esempio, è al centro di un business (defense budget) di circa 1 trillion all’anno, probabilmente per i prossimi 10-20 anni, più tutte le commesse militari provenienti da Europa, Asia, Middle East, Africa, eccetera. Probabilmente si arriva a 2 trillions all’anno intorno al settore difesa nei prossimi anni, da cui il sistema trae sostentamento. Non conosco i dettagli, ma se anche solo il 5% del totale annuo finisse in “redistribuzione” al sistema politico e intermediari vari, fate i conti voi. E questo completa il ragionamento che facevamo poco fa sul ruolo della spesa pubblica.
C’è una speranza per la politica e la stampa europea di avere una prospettiva più obiettiva e centrata sui nostri interessi di cittadini europei?
L’odio ideologico e la conseguente cecità non moriranno, ma qualcuno si sta rendendo conto, soprattutto a Bruxelles, che se Trump mettesse in pratica quello cha ha detto sulla NATO, si scatenerebbe il panico in Europa e non solo. Ancora più potente è l’affermazione di considerare l’abbandono della NATO da parte degli USA. Nessuna delle due è credibile, ma è abbastanza per iniziare a fare aprire gli occhi agli europei.
Le cito due figure simbolo. Ci spiega che parte avranno da ora in poi? La prima è Elon Musk.
Semplice: Musk è il nemico pubblico n. 1, sullo stesso livello di Trump, anche se non è un suo esplicito sostenitore. Aspettiamoci attacchi continui contro di lui, contro X e contro Tesla. Siamo solo all’inizio e in ogni caso Musk è una spina nel fianco del controllo dell’informazione. La seconda figura?
La seconda è Taylor Swift.
Un fenomeno mai visto prima nello show business. Sta ricevendo una pressione enorme per esporsi e diventare parte attiva nella campagna anti-Trump. Sono convinto che si esporrà più che 4 anni fa. L’aspetto “movimentista”, generazionale, giovanile, emozionale per muovere alle urne quel 5% in più di elettori che servirà a sconfiggere DJT nei 4-5 Stati chiave è alla base della sfida di novembre. Se DJT ci arriva.
(Federico Ferraù)
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