Quando sei in testa e con la vittoria a portata di mano qualsiasi scombussolamento può farti solo dei danni, ed è per questo che – fossimo stati Trump – avremmo meditato bene prima di affermare che Kamala Harris sia ancor più facilmente battibile di Joe Biden.
Come al solito spaccone ed esagerato, Donald Trump ha liquidato con una battuta la sua nuova rivale, ma sicuramente i suoi consiglieri sono e saranno molto più circospetti (e preoccupati). La Harris ha dei limiti e non gode di un’empatia travolgente, ma può rendere molto più incerto il risultato soprattutto in alcuni Stati-chiave che faranno la differenza e che nella sfida Biden-Trump per i democratici sarebbero stati persi in partenza.
Soprattutto, la Harris ha dietro sé un sacco di soldi e buona stampa, in patria e all’estero. Soros e Hollywood si sono subito schierati con lei, così come i leader democratici (a oggi esita solo Obama) e la boccata d’ossigeno di 100 milioni di dollari raccolti in pochi giorni non è certo da sottovalutare.
Ad esempio, in Italia, Kamala è subito diventata una star, D’altronde è donna, nera, di sinistra, “arcobaleno”, abortista e radical-chic: cosa volete di meglio e di più? Pochi scrivono la verità, ovvero che è stata una vice-presidente incolore e – se anche ora gratifica tanto Biden come un Presidente “che ha fatto la storia” – in realtà quando le sono stati affidati dossier impegnativi come quello dell’immigrazione ha guadagnato un fiasco colossale, sia di immagine che di sostanza.
Ne abbiamo già scritto, ma il tema è e sarà il top della campagna elettorale Usa, cavallo di battaglia dei repubblicani ed è facile immaginare che su questo si polarizzerà il dibattito.
La Harris ha poi altri aspetti per renderla molto temibile, soprattutto perché ha dato nell’immediato una ragione di speranza all’abbacchiato popolo democratico, mobiliterà una buona parte degli afro-americani dando una voce credibile agli anti-Trump che con Biden sembravano ko anche sui toni e le battute polemiche in vista di una campagna molto pesante, volgare e diffamatoria.
“Ho già avuto a che fare con truffatori e predatori sessuali”, ha esordito nel suo primo comizio da candidata presidente attaccando Trump con la sua stessa moneta, con il tycoon che rischia di essere risucchiato così nel vortice della polemica, aspetto che non può fargli guadagnare voti, dovendo semmai puntare a tranquillizzare il proprio elettorato più che a litigare con l’avversaria.
Ma Trump è un toro: se vede rosso (o nero) attacca a testa bassa e così diventa più attaccabile cadendo nel gioco della Harris che avrà il suo primo e vero banco di prova nella scelta del vice-presidente per creare un ticket interessante e complementare a livello politico, sociale e anche territoriale.
La campagna elettorale diventerà fatalmente anche uno scontro etnico, perché Kamala punta proprio su questo, auto-proclamandosi leader delle minoranze e in totale dissenso con Obama che invece aveva puntato – prima e durante la sua lunga presidenza – più su percorsi inclusivi che divisivi e con indubbio successo.
Tutti ora la osannano, ma la Harris durante i tre anni e mezzo di vice-presidenza ha deluso parte dei suoi fan, non ha mai “bucato lo schermo”, non si è illuminata di luce propria anche se questo è il ruolo del “vice”. Certamente non ha confermato le doti per la quali era stata scelta ed è su questo che punteranno i repubblicani che con Vance hanno trovato un’ottima spalla per Trump.
Un Vance che in qualche modo è proprio il contrario di Kamala rappresentando plasticamente l’immagine del realizzarsi di un “sogno americano” che da sempre è acchiappa-voti, soprattutto tra i più poveri e quegli immigrati di vecchia generazione che puntano a crescere rispetto agli anni del loro arrivo. In questo la Harris è all’opposto nel lagnarsi per discriminazioni e ingiustizie pur di intercettare il voto delle minoranze etniche come di genere.
D’altronde i democratici non potevano più aspettare, né avevano altra scelta visto il veloce e progressivo decadimento di Biden che probabilmente avrebbe dovuto comunque “passare la mano” alla Harris a mandato iniziato e che quindi ha solo anticipato una scelta comunque scontata.
Tutto è comunque ripartito e per Trump si annunciano giorni non facili, anche perché il post-attentato aveva visto una sua netta crescita di consensi e di simpatia, voti che nel medio termine la Harris può azzerare giocando in contropiede. È quello che sperano nel partito dell’asinello, ma non sempre la speranza diventa realtà.
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