Addio, mister Biden: grazie, è stato davvero un piacere, ma adesso – presidente – cortesemente si accomodi.

Metteteci le (false) lacrime ufficiali del gruppo di comando Obama-Clinton-Pelosi e quelle (vere) dell’interessato, i discorsi di circostanza e le facce di conseguenza, ma l’avvio alla Convention democratica di Chicago con l’addio di Biden è assomigliato alle veglie funebri di quei personaggi importanti di cui tutti i presenti tessono le lodi soprattutto perché finalmente il caro estinto si è tolto dai piedi.



E pensare che fino a due mesi fa lui era un mito, il migliore, il comandante in capo intoccabile, quello che avrebbe assolutamente vinto di nuovo, tanto che le primarie democratiche erano state uno scontato dovere d’ufficio: guai a chi avesse messo in dubbio la candidatura Biden.

Poi i sondaggi sempre più disastrosi, il dovere di sganciarsi, il pressing dei “donatori” improvvisamente restii a buttare milionate di dollari dalla finestra e il drammatico dubbio: “Come ne veniamo fuori”?



Solo con un gioco a rischio ridotto, il minore possibile, ma soprattutto assicurandosi la continuità: quindi pronti-via con l’organizzazione di un’imboscata (il dibattito tv con Trump) affinché tutti capissero che il rischio di un flop clamoroso stava diventando realtà e di qui la richiesta di ritiro imposta dal gotha democratico al presidente, che invece non ne voleva proprio sapere.

Vogliamo essere ancora più cinici? Da mesi è evidente che alla Casa Bianca comanda un comitato d’affari che aveva ed ha il suo frontman nel sempre più acciaccato Biden, ma che dietro tira e tirava le fila di tutto; un gruppo che improvvisamente ha capito che avrebbe potuto perdere il Potere, soprattutto perché Trump è imprevedibile, ma forse era ancora battibile con una candidata diversa.



Serviva un usato sicuro, malleabile. La candidatura della Harris improvvisamente diventava perfetta: considerata molto grigia, fino a tre mesi fa improponibile per una naturale successione (come era nelle previsioni di quattro anni fa) proprio per i suoi limiti, ma improvvisamente diventata indispensabile.

Così, di punto in bianco, senza nessuna consultazione della base (qualcuno ha parlato di “golpe”), ecco sbocciare la candidatura ideale per chi deve manovrarla e intanto capace – se opportunamente condotta – di rinvigorire almeno con una speranza le spente truppe democratiche.

La “cupola” (gli Obama, appunto, con i Clinton e l’ottuagenaria Pelosi) è stata capace di organizzare un’operazione incredibile ma forse vincente come la trasfigurazione di Kamala, che fino a poco tempo fa veniva descritta dai suoi stessi compagni di partito come mediocre e che adesso, nel coro dei media fiancheggiatori, è diventata una specie di divinità, oggetto di un’adulazione sconcertante, decisamente esagerata.

In Italia, poi, alla sinistra non è parso vero di trovare una figura di colore, femminista, pro-gender, abortista e quindi da sponsorizzare.

Un buon candidato repubblicano l’avrebbe seppellita, ma purtroppo (per loro) i repubblicani hanno un Trump che ragiona (poco) ed è come il toro nell’arena e quindi circondabile, attaccabile, inviso a metà del Paese. Un Trump che attira fedelissimi scatenati, ma difficilmente le maggioranze.

Il vero test elettorale diventerà così il grado di mobilitazione: con Biden i democratici tiepidi sarebbero probabilmente rimasti a casa non motivati, con la Harris forse andranno a votare in numero maggiore soprattutto alcune minoranze e classi sociali e in questo caso faranno la differenza, purché il demone-Trump resti il razzista “cattivo”, dipinto come presidente ideale per combinare disastri.

Attenzione, però: dopo la Convention repubblicana scrivevo come fosse sbagliato che ci fossero in sala quasi solo bianchi, ma i democratici stanno facendo ora l’errore opposto. Se in Arizona ci sono solo l’ 8,6% di neri e nativi americani mentre quasi tutta la delegazione che annuncia la “nomination” dei grandi elettori democratici pro Kamala è invece composta da gente di colore che la osanna in diretta TV, non è così che si convincono – per di più in uno Stato in bilico – gli elettori bianchi delusi ed indecisi, quella maggioranza che già si sente osteggiata e minoranza in casa propria. Vedrete che Trump lo sottolineerà, in uno scontro che negli USA sta diventando sempre di più anche razziale.

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