Ho partecipato personalmente ad un paio di “Convention” repubblicane in USA, rimanendo sempre colpito dalla diversità di questi eventi rispetto ai congressi nazionali dei nostri partiti politici. Più che congressi, sono appuntamenti folkloristici, supermarket di gadget, spettacoli, confusione, folla con ogni tanto un intervento politico e sempre tante preghiere.
Sì, perché non c’è sessione mattutina o pomeridiana, serale o notturna che non sia aperta con la preghiera di qualche importante ministro di culto (compresi vescovi cattolici) in rigorosa alternanza, quasi a sottolineare l’adesione anche del Divino al voto dei delegati.
Quest’anno, visto lo scampato pericolo di sabato scorso, questo aspetto quasi mistico e religioso non è mancato nell’apertura del discorso di Trump per l’accettazione ad una nomination che ora parte con tutti i favori del pronostico.
Mentre di giorno in giorno si attende la rinuncia del “vecchio Joe”, nel suo intervento Trump non ha dimenticato così innanzitutto di ringraziare per la protezione divina, trasformandola in una sorta di endorsement al suo programma.
Davanti ad una platea esaltata e motivante, il tycoon è passato così dalla commozione nel baciare la divisa del povero pompiere morto sul palco dietro di lui alle invettive (poche) contro i democratici, assumendo piuttosto le vesti del padre della patria e auto-proclamandosi presidente di tutti.
Due aspetti sono però sfuggiti a molti dei media europei, che forse hanno preferito non parlarne.
Il primo è che – proprio poche ore dopo che Ursula von der Leyen si è fatta incoronare grazie al voto dei verdi con una serie di promesse ecologiche – Trump è andato giù duro nel sostenere che bisogna invece aumentare le trivellazioni, aprire miniere e centrali atomiche, riprendersi in casa gli stabilimenti automobilistici che ora producono appena al di là dei confini e – alla ricerca del voto bianco dei colletti blu ben interpretati dal suo neo-vice J.D. Vance – rilanciare senza indugio le industrie nazionali con un’aperta contestazione di tutto ciò che sono campagne ecologiste ed automobili elettriche.
Un percorso opposto a quello europeo, che – se Trump diventerà presidente – metterà gli USA in rotta di collisione con la vecchia Europa.
Non è qui la sede per affermare se Donald abbia ragione o torto, sta di fatto che questa sarà con ogni probabilità l’America dei prossimi anni e con la quale bisognerà fare i conti, in una competizione che rischia di irridere i costosi tentativi europei per correre verso le “emissioni zero” promesse da Ursula. Il non prenderne atto a Bruxelles (e magari subito correggere il tiro) significa il voler vivere su una navicella spaziale al di fuori della realtà, come ben presto scopriranno agricoltori e industriali europei.
Mentre calavano di tono le invettive a Biden (citato una sola volta), un altro aspetto – molto esasperato – è stato invece il nocciolo del discorso di Trump, ovvero la critica ai Democratici per il “lassismo” sulla questione immigrazioni. È questo un tema che negli USA è davvero d’attualità e coinvolge anche gli elettori ben lontani dai repubblicani che assistono attoniti ad una vera e propria invasione dalle frontiere messicane.
Facile per il tycoon sostenere, numeri alla mano, che se si fosse completato il “muro” da lui voluto queste centinaia di migliaia di persone non sarebbero passate, danneggiando soprattutto le fasce povere americane di prima immigrazione che si apprestano – secondo tutti i sondaggi – a votare compatte per lui.
Un problema per chiunque gli si candiderà contro, anche perché la “base” democratica la pensa in buona parte come Trump e gli stessi sondaggi sono unanimi a confermarlo.
Poi, intorno al candidato, la solita corona di slogan, effetti speciali, canzoni, megaschermi e palloncini come da copione, mentre non so quanti abbiano notato – guardando con attenzione le riprese e i primi piani – che nella mega-struttura c’erano presenti pochissimi neri. Sono solo un sesto degli americani, ma significa che sono rimasti una riserva di voti che in gran parte voterà (se voterà) comunque democratico e forse è anche per questo che la più probabile avversaria di Trump sarà Kamala Harris. Il voto di novembre si sta trasformando quindi in uno scontro non solo politico e sociale ma anche in una battaglia a sfondo razziale. Il che avrà sicuramente un proprio peso.
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