Si è aperta il 19 agosto la convention del Partito democratico a Chicago che terminerà oggi, 22 agosto, con il discorso di Kamala Harris, candidata alle prossime presidenziali.

A Chicago regna l’entusiasmo, quantomeno apparente, dei quadri e dei sostenitori del partito dell’asinello: se solo un mese fa, durante la convention del Partito repubblicano, sembrava che i giochi fossero fatti e che la sconfitta del Presidente in carica fosse vicina, il passo indietro di Biden, la rapida investitura della vicepresidente Harris (fatta tramite acclamazione online da parte dei delegati, in modo da evitare sorprese alla convention) e il compattamento dietro alla candidata di tutti i big del partito sembra aver galvanizzato la base, i donatori e i sostenitori democratici. Attenzione però alle impressioni: la più galvanizzata è la stampa liberal sia da un lato che dall’altro dell’oceano.



Sul palco di Chicago si stanno alternando tutti i big del partito, a cominciare da Biden, che ha tenuto un lungo discorso di 45 minuti: il Presidente uscente ha sottolineato i successi della sua Amministrazione, dall’economia alla lotta al cambiamento climatico, ha enfatizzato l’importanza di queste elezioni per la democrazia americana, accusando Trump di non essere pronto ad accettare il risultato delle urne, e ha lanciato un appello a tutti gli americani a sostegno di Kamala Harris e del suo vice Walz, dichiarando così il pieno appoggio a questa candidatura. Gli osservatori hanno però notato il saluto molto freddo tra il Presidente Biden e il suo predecessore Obama (di cui era stato Vicepresidente) nonché il fatto che Biden, pur essendosi ritirato dalla corsa, non si sia affatto dimesso dalla Presidenza, che continuerà a tenere fino a fine mandato.



Dopo il Presidente è stato il turno di tre donne, molto diverse tra loro ma accomunate dal sostegno a Kamala Harris: la prima è Hillary Clinton, che ha ripreso la, per lei sfortunata, metafora del tetto di cristallo da rompere, la seconda è la Ocasio-Cortez, giovane pasionaria deputata del Bronx, che ha sottolineato la visione “più equa” di America della Harris, la terza è stata Michelle Obama, che ha galvanizzato il pubblico con un acceso discorso sulla speranza che suscita questa candidatura, invitando i sostenitori a lavorare per la Harris “come se le nostre vite dipendessero da questo”. Tutte e tre hanno sottolineato come prioritario per le donne americane il ripristino del diritto all’aborto a livello nazionale, dopo la decisione della Corte Suprema che ha lasciato la disciplina dell’accesso all’aborto ai singoli Stati.



Infine, è intervenuto Barack Obama, indubbiamente la persona più carismatica che salirà in questi giorni sul palco e probabilmente il miglior oratore del partito: ha elogiato il programma della Harris, che “lavorerà per ogni americano”, attaccando invece Trump accusandolo di vedere il potere solo “come un mezzo per i suoi fini” e dicendo che con lui Presidente ci saranno 4 anni di caos.

Non tutto a Chicago è però rose e fiori e l’unità mostrata sul palco è più fragile di quanto sembri: innanzitutto sono da segnalare le grandi manifestazioni che circondano i blindatissimi spazi della convention, organizzate dai gruppi pro Palestina e con l’adesione di numerosi movimenti della sinistra radicale, che chiedono un cambio di rotta nella politica estera americana, soprattutto sul conflitto israelo-palestinese, ma anche maggiore sostegno alle politiche a favore delle persone transgender, miglioramenti nel sistema di welfare, maggiori sforzi sulle politiche ambientali. Queste manifestazioni, in alcuni casi con toni violenti e che sono sfociate in tensioni con le forse dell’ordine, segnano una frattura, che la Harris tenterà di colmare, tra i giovani liberal e la maggioranza del partito che su tematiche come la guerra a Gaza predilige un approccio più pragmatico.

In secondo luogo, è interessante notare come nei discorsi fatti finora si sia accuratamente evitato di entrare nel merito di quasi tutti i temi caldi di questa campagna: a partire dalla politica estera, dove non si sono toccate le problematiche delle crisi palestinese e ucraina, alla politica economica, in cui non si è affrontato il tema del crescente debito pubblico, né dell’inflazione, che non sta facendo percepire agli americani i successi economici vantati dal Presidente Biden. Non si è entrati nel merito delle politiche fiscali, né di quelle ambientali, del conflitto economico con la Cina, né dell’immigrazione che spinge ai confini sud degli Stati Uniti.

Osservando questa convention, pare quindi che la galvanizzazione dell’elettorato dem sia più legata all’aver “risolto” il problema Biden e al compattamento del mondo democratico contro Donald Trump che a un programma economico e sociale di ampio respiro e che i veri “carismi” del partito (i coniugi Obama) stiano facendo di tutto per ricostruire, in poche settimane, la figura di Kamala Harris, facendo dimenticare le polemiche che hanno contraddistinto, sia da destra, che dal centro, che da sinistra, gli ultimi tre anni e mezzo di vicepresidenza.

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