ATLANTA (Georgia) – Martedì prossimo andrà al voto un Paese diviso, confuso, che tende a chiudersi sempre di più su sé stesso, tra contraddizioni e speranze.

Al termine del mio tour di tre settimane attraverso dieci Stati dal nord-est al sud e all’ovest, gli USA mi appaiono incerti e non solo sul risultato finale di una competizione elettorale che divide, ma sul loro futuro. Buona parte dei cittadini non si aspetta nulla di buono da due candidati generalmente considerati “il meno peggio” e che non convincono salvo i rispettivi aficionados, mentre la campagna si trascina tra insulti e volgarità. Evidente l’appoggio dei media per la Harris, ma se anziché i network nazionali aveste occasione di ascoltare i canali locali, i più ascoltati, scoprireste che sono filo-Trump, ma che la gente non è visibilmente interessata, così come totale è il disinteresse per la politica estera, il mondo, i problemi dello Stato vicino. Le news sono veramente “locali” perché, a parte una minoranza localizzata soprattutto del nord-est, si va a votare guardando con più attenzione a chi si candida a giudice o a sceriffo.



Sono strani gli USA, sommersi in un mare di contraddizioni, dove non puoi acquistare in farmacia un medicinale qualsiasi salvo una costosa quanto inutile visita medica e poi di fianco c’è il negozio che vende marijuana. Polemiche assurde sull’aborto tra predicatori spiritati che urlano all’omicidio con la bandiera sullo sfondo e la Bibbia in mano, e chi vorrebbe liberalizzare tutto, poi scopri che un’infinità di ragazzine abortisce soprattutto perché non ha una minima idea sulla contraccezione: rispetto all’Italia mi sembrano indietro di 40 anni.



Così come inverosimile appare il dibattito sulle droghe, che si vorrebbero liberalizzare in modo totale e poi guidi tra una infinità di maxi-manifesti che lungo le strade pubblicizzano centri di disintossicazione per alcool, droga, farmaci, fumo, cibi-spazzatura. Un Paese che si rovina con alimenti pieni di additivi e zuccheri (ma dove tutto è proposto come “organic”) e che in più si riempie di integratori, con supermarket dove si vendono porzioni oscenamente grandi e tali da portarti fatalmente all’obesità; quella che viene poi combattuta a suon di riviste specializzate per dimagrire, diete, centri specializzati. Alla fine, è visibilmente tutto un business, ma intanto agli incroci tanta gente chiede la carità, “fatta” o visibilmente disperata.



È una situazione frutto anche di un’ondata migratoria dal sud del continente che si cerca di contenere in qualche modo e che non è solo costituita da poveracci senza documenti, ma anche da delinquenti venezuelani, colombiani, messicani e salvadoregni che si sono impiantati nelle città con vere e proprie bande armate organizzate, intimidazioni, racket e violenze, al cui confronto la vecchia mafia italoamericana di un tempo sembra uno sbiadito club di educandi.

Un Paese dove tutto è grande, esagerato. Dalle distanze ai panorami imperdibili tra i più belli del mondo, dalle confezioni di pop-corn alle dimensioni delle auto, visto che appena fuori dalle città tutti si sentono realizzati solo guidando maxi fuoristrada che pur non vedono mai una strada sterrata. Un Paese dove se guidi ubriaco vai in galera, ma dove chi non guida (si fa il turno) nel weekend si stordisce con tutte le sostanze possibili.

Un’America che – come dalla prima impressione a New York – appare un paese sempre più vecchio, con infrastrutture ormai inadeguate. Non si deve generalizzare, ma questa è più di un’impressione, e si rimane sbalorditi pensando che l’aeroporto di Dallas ha 6.000 (seimila!) movimenti di aerei al giorno con 7 piste, e poi constatando come i collegamenti con il centro o i posteggi siano insufficienti e gli imbarchi disorganizzati.

Un’America, infine, dove non si celebra più il “Columbus Day” perché considerato razzista (anche se Colombo negli USA non c’è mai stato) e dove quindi si abbattono i suoi monumenti (almeno 33 negli ultimi due anni) soppiantando la festa con quella per i nativi americani. Recupero delle origini? Forse, ma intanto i corsi universitari sono riservati a maggioranza alle “minoranze” (ovvero a tutti salvo i bianchi americani) e dove se c’è il numero chiuso, come a medicina, conta sempre meno il merito e sempre di più l’appartenenza etnica. Un Paese incerto. Chissà se in qualche modo riemergerà dopo il 5 novembre.

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