Con una importante, ma a dire il vero non imprevista decisione, la Corte Suprema americana ha accettato di esaminare la richiesta di Donald Trump di accertare la sussistenza dell’immunità presidenziale per gli atti posti in essere dall’ex presidente durante il proprio mandato. In particolare, l’ex presidente Trump è accusato dal procuratore speciale federale Jack Smith del tentativo di sovvertire il risultato elettorale tramite pressioni su alcuni funzionari governativi e il sostegno ad alcuni gruppi violenti che hanno manifestato il 6 gennaio 2021 dando l’assalto alla Casa Bianca. I capi d’accusa sono molto gravi: truffa ai danni degli Stati Uniti, ostruzione di un’attività ufficiale del governo e violazione dei diritti civili.



Come è facile intuire, una condanna potrebbe avere effetti molto gravi sulla sua campagna elettorale.

La Corte Suprema, accettando il caso e fissando l’udienza per il 22 aprile, ha ordinato la sospensione del processo in atto e si è impegnata a verificare se gli atti compiuti da Trump possano essere protetti da immunità presidenziale. Obiettivo della difesa del tycoon è dimostrare l’insindacabilità da parte della magistratura di comportamenti presumibilmente implicanti atti ufficiali del presidente durante il suo mandato; l’accusa ribatte sostenendo che se la teoria della difesa venisse accettata, verrebbe messa a soqquadro la concezione di responsabilità presidenziale, minando così democrazia e stato di diritto.



In realtà il problema dell’immunità presidenziale è una tematica giuridica su cui negli Stati Uniti, ma non solo, si dibatte da sempre: la prima decisione in merito della Corte Suprema è del 1867, ed in quel caso fu considerata illegittima la causa civile da parte di un cittadino americano per atti “politici ed esecutivi” compiuti dall’allora presidente Andrew Johnson. Il fatto che tale immunità civile possa estendersi però anche all’ambito penale, è argomento di discussione tra i tecnici: addirittura l’allora presidente Thomas Jefferson, terzo presidente degli Stati Uniti e annoverato tra i padri della patria, fu costretto dalla corte di allora a presentare alcuni documenti durante un processo penale, in quanto, a differenza del Re d’Inghilterra, “the President was not exempt from the general provisions of the constitution”.



In tempi decisamente più recenti, la Corte Suprema nel 1994 decise di sospendere, ma non di bloccare, una causa per molestie sessuali a carico dell’allora presidente Bill Clinton, processo che fu poi ripreso al termine del mandato presidenziale. Diversi furono i procedimenti penali e non a carico del presidente Richard Nixon, ma anche in quel caso, le dimissioni dello stesso non fecero in tempo a far arrivare alla Corte Suprema alcun caso da decidere su una sua possibile immunità penale.

La decisione della Corte non è prevista prima di fine giugno. Pertanto, qualsiasi essa sia, sospenderà il processo in corso per 4 mesi, processo che difficilmente arriverà a termine prima di novembre 2024, quando sono previste le elezioni presidenziali. I guai giudiziari sembrano essere l’unica cosa che possa fermare la corsa di Donald Trump: alle primarie in Michigan, tenutesi martedì, ha surclassato l’unica sfidante rimasta di ben 40 punti percentuali, vincendo in tutte le contee dello Stato. Nikki Haley ha anche perso l’appoggio dell’Americans for Prosperity Action, uno dei più importanti gruppi di finanziatori conservatori, legato all’imprenditore miliardario Charles Koch e le sue speranze per la nomination sono ridotte ormai al lumicino.

Dalle primarie in Michigan arrivano anche nuovi guai per Joe Biden: se le primarie democratiche sono pura formalità, e lo hanno comunque visto trionfatore con oltre 500mila voti, oltre 100mila elettori sono andati a votare “uncommitted”: nessuno dei candidati. La campagna per andare a votare “uncommitted” è stata lanciata qualche settimana fa in Michigan da un gruppo di attivisti musulmani e arabi, ma ha anche ottenuto il sostegno di diversi gruppi afroamericani e di parte della sinistra radicale, e ha come obiettivo quello di far pesare nel voto la critica alle politiche dello Stato israeliano.

La richiesta di questo movimento, e più in generale di parte della sinistra americana, è la fine del sostegno USA al governo Netanyahu e una maggior attenzione alla causa palestinese, senza le quali questi elettori, che in Michigan hanno un certo peso, potrebbero non recarsi alle urne a novembre, regalando così a Trump la vittoria in uno Stato chiave per le elezioni presidenziali.

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