MINNEAPOLIS – Tra i tanti sondaggi che stanno costellando questi mesi che ci separano dalle elezioni presidenziali (ne mancano meno di due), ho scelto di farmene uno per i fatti miei. Amici e conoscenti che sotto promessa (mia) di anonimato hanno accettato di “confessarsi” rispondendo a due semplici domande: per chi voterai e perché. Di qua o di là dell’oceano che si sia, il voto mantiene sempre il suo alone di riservatezza e guardarci dentro è un po’ come andare a rovistare nei panni sporchi (altrui).



In qualche modo con il voto entriamo in quell’area privata dove risiedono cose di cui si preferirebbe non parlare, quelle cose che uno tiene volentieri per sé. Come disse una studentessa di giurisprudenza tanti anni fa all’esame di diritto costituzionale (io ero seduto in attesa del mio turno) rispondendo alla domanda sul perché della segretezza del voto, “Io non lo so – ma chi l’ha deciso avrà avuto le sue buone ragioni…”. E di buone ragioni ne possiamo elencare tante, soprattutto in tempi di pesante polarizzazione come questi, in cui dire Trump o Harris sembra essere sufficiente a definirti come persona, buona o cattiva a seconda della corrispondenza col pensiero dell’interlocutore.



Comunque sia, ho provato a chiedere in giro e al di là di qualche occhiataccia ho rimediato anche qualche risposta. Certamente una campionatura ridotta, ma interessante, a volte anche sorprendente.

Risultati? Uno anzitutto e su tutto, che “dove si vive” appare più rilevante ai fini del voto del “come si vive”. In altre parole la preferenza per l’uno o l’altro sembra essere dettata soprattutto dalla mentalità dominante nella parte del Paese in cui si vive. I “metropolitans” si sentono necessariamente in dovere di prendere in considerazione anzitutto la Harris, mentre per i “suburbans” la prima opzione è inevitabilmente Trump. Due mondi incapaci di intendersi, ma anche semplicemente di comunicare. Fattori economici (quanti soldi hai), razziali (e qui di razze ne abbiamo parecchie), scelte di politica internazionale (America impegnata nel mondo o America arroccata sui suoi confini), sono tutti elementi emersi nelle varie conversazioni del mio personalissimo sondaggio rispetto al “perché lui o lei”, ma il preconcetto, il pensiero comune consolidato (potremmo anche chiamarlo “valori tradizionali”) ha priorità, ha più peso di tutti gli altri fattori messi insieme.



Così, a seconda delle aree geografiche, ho trovato schieramenti di professionisti, blue collars (classe operaia), giovani, anziani, gente di colore e persone di fede. Speaking of which, nel mondo cattolico (e così anche tra i miei intervistati) c’è chi ha accolto con un po’ di imbarazzo, chi con perplessità, chi con ostilità, chi con gratitudine le preoccupazioni espresse dal Papa ed il suo invito – visti i candidati che ci ritroviamo – a votare per il lesser evil, il male minore, il meno peggio. Gli incerti – parecchi – ancora più incerti. Il no all’aborto aveva in Trump il suo paladino, ma il paladino si è fermato all’autonomia dei singoli Stati nel decidere, rinunciando alla battaglia (un dì promessa) per mettere la pratica abortiva al bando in tutto il Paese. Gli immigrati che spingono sempre più ai confini e lottano per sopravvivere nelle nostre città, avevano nei democratici i loro angeli custodi (teoricamente) finche non si è dimostrato che  anche per Harris e compagni (anche in questo caso al di là delle promesse) chiudere la porta di casa è più semplice che fare i conti con chi tenta disperatamente di trovare un futuro più umano per sé ed i propri figli. Bussando da chi ha di più.

Il mio sondaggio non conta un bel niente, ovvio, sono quattro conversazioni e quattro dati in croce. Però mi dice – ancora una volta e con più forza che mai – che l’ideologia si sta mangiando il Paese e per farlo si mangia anzitutto la mia capacità di pensare. Peggio, si mangia il mio desiderio di pensare, mettendolo a tacere, facendomi accontentare di stare dalla parte di chi vince.

Ma in questo modo cosa vinco io?

God Bless America!

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