Adesso, nel rush finale di queste elezioni Usa 2024, tutti scoprono che Trump potrebbe vincere davvero. Un coro perfino sospetto e tale da far pensare che potrebbe essere addirittura una disperata ultima mossa democratica per convincere ad andare a votare gli elettori più tiepidi, preoccupandoli che vinca il “diavolo” Trump.
Vera o meno che sia quest’impressione, i due sono sostanzialmente alla pari, ma Trump sembra godere da oltre un mese di un trend ascendente al contrario della rivale.
Sono comunque ultimi giorni da incubo, tra battute di pessimo gusto, insulti, minacce, accuse di brogli e milioni di persone che prudentemente hanno già votato lasciando pensare ad una partecipazione superiore alla media, un dato che, secondo i sondaggisti, favorirebbe però proprio Kamala Harris.
Trump ha riempito il Madison Square Garden a New York come non mai, ma il successo della manifestazione è stata offuscata sui media da una battuta imbecille di un comico (o presunto tale) contro i portoricani. La Harris ha spinto nel finale per sganciarsi dalla figura di Biden che – sembra incredibile – proprio sui portoricani ha però infilato una battuta perfino peggiore di quella del comico di Trump… Insomma, un finale velenoso e che per il bene di tutti è opportuno si concluda al più presto.
Gli scommettitori e Wall Street dicono Trump, le cancellerie occidentali, la UE e soprattutto Zelensky tifano Harris. Speriamo solo che l’esito sia chiaro, perché – se esso fosse ancora una volta legato al voto postale come nel 2020 – sarebbero polemiche senza fine e forse perfino disordini di piazza.
Da sottolineare che negli ultimi giorni non sono mancati i ripensamenti dell’ultima ora e – probabilmente sull’onda dei sondaggi – l’ondata di appoggio a Kamala è andata evaporando. Ha fatto rumore per esempio il caso del Washington Post che (come il Los Angeles Times) non ha concesso il rituale “endorsement” (appoggio ufficiale) alla vice-presidente democratica. Lettori e giornalisti infuriati (ma a dirlo è soprattutto la CNN, filo-Harris) con il proprietario della testata Jeff Bezos che dal canto suo ha dichiarato “Ciò che in realtà fanno gli endorsement presidenziali è creare una percezione di parzialità, di non indipendenza. Porre fine a questi è una decisione di principio, ed è quella giusta”. Tutto bene, salvo dirlo solo a una settimana dalle elezioni e non mesi prima, lasciando così l’impressione di volersi creare un “bonus” con il potenziale nuovo presidente.
Con la Harris è rimasta comunque compatta la gran parte della stampa americana e le principali reti tv, tutto il mondo di Hollywood e – quasi ovviamente – l’“intellighenzia” progressista di cui Kamala rappresenta l’emblema. Mercoledì sapremo se ha pagato il suo schierarsi così apertamente su temi come l’aborto, la difesa delle minoranze etniche, le minoranze di gender, con battute volgari sull’avversario e mettendosi così sul suo stesso piano.
Per contro, Trump non è cambiato fino all’ultimo, quasi ossessivo nei suoi consueti e ripetitivi monologhi contro l’avversaria. Impensabile, l’ho scritto tante volte, il livello becero dei rispettivi messaggi e spot elettorali, tutti tesi a denigrare gli avversari piuttosto che a proporre chiarezze su temi programmatici che vadano al di là, appunto, dei soliti slogan.
Per questo la campagna che si chiude è stata tutta impostata alla negatività, al reciproco dileggio, alla contrapposizione totale, tanto che chiunque uscirà vincitore (o vincitrice) si troverà davanti una metà della nazione profondamente ostile. Era prassi che un presidente americano diventasse – dal giorno dopo la nomina – il “comandante in capo” e il presidente di tutti, assumendo un ruolo di leader sopra le parti, cosa che questa volta sarà decisamente difficile.
Senza dimenticare che occorrerà vedere anche come si concluderà il voto per il Congresso (si rinnova tutta la Camera e parte del Senato), un aspetto politico importante ma rimasto sullo sfondo: se chi arriverà alla Casa Bianca potrà contare su una maggioranza nelle due Camere potrà governare esprimendo un suo programma, altrimenti divieti, blocchi, rinvii e sgambetti parlamentari saranno all’ordine del giorno.
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