La sinistra progressista ha patrocinato una campagna giudiziaria con l’obiettivo di escludere Trump dal voto di novembre. Ma non ha funzionato. A dirlo non è un partigiano del tycoon, ma uno dei massimi costituzionalisti americani, John Yoo, docente alla Law School di Berkeley, già consigliere giuridico dell’Amministrazione Bush, esperto di dottrina dell’emergenza e di poteri presidenziali. Il Sussidiario lo ha intervistato per capire meglio le implicazioni della recente sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti (Scotus), Trump vs. Anderson, dopo che Yoo con Robert Delahunty su The Federalist ha scritto un articolo spiegando, tra l’altro, che in quella pronuncia i nove giudici a vita non hanno difeso Trump (o, un domani, chiunque altro al suo posto), ma la Costituzione. Da chi? Da una decisione, e da una iniziativa politica, potenzialmente distruttiva per la Federazione USA.
Il 4 marzo scorso, infatti, Scotus ha dato torto alla Corte Suprema del Colorado e ad un gruppo di elettori che avevano contestato a Trump la possibilità di candidarsi alle primarie in quello Stato, per il fatto che secondo loro – e secondo i giudici del Colorado – l’ex Presidente aveva ostacolato il pacifico trasferimento di poteri alla nuova amministrazione, provocando l’insurrezione di Washington del 6 gennaio 2021 (i fatti di Capitol Hill).
Ma i singoli Stati – così ha stabilito la Corte Suprema – non hanno l’autorità per far rispettare la Sezione 3 del XIV Emendamento, che esclude da alcuni uffici statali e federali particolari soggetti che dopo avere giurato sulla Costituzione, abbiano promosso o fatto una insurrezione contro il potere costituito.
Mettendo da parte i tecnicismi (e ce ne sarebbero a volontà), con Yoo abbiamo toccato uno degli snodi centrali di tutta la vicenda, e cioè quello del potere dei giudici. Un tema agli onori delle cronache, guarda caso, anche in Italia. E su questo il costituzionalista di Berkeley è netto: i giudici devono applicare la Costituzione, non possono sostituirsi al popolo.
Professore, in un recente intervento lei ha osservato che la decisione della Corte Suprema contribuisce notevolmente a ripristinare la fiducia dell’elettorato nell’esito del voto americano di novembre, qualunque esso sia. Da chi è stata minata questa fiducia e come?
Sono convinto che la sinistra progressista abbia patrocinato una campagna presso le Corti per evitare che Donald Trump possa concorrere alla Presidenza. Questo si è tradotto in una serie di azioni penali e persino civili a tutti i livelli, statale e federale, con l’obiettivo di escludere Trump dal voto finale. Ritengo che se questa campagna avesse mai successo, i Repubblicani guarderebbero alle elezioni di novembre come ad elezioni illegittime per il fatto di aver impedito all’elettorato di votare per il candidato prescelto.
Lei ha scritto che Scotus nella sua decisione ha respinto un’interpretazione radicalmente nuova della Sezione 3 del XIV Emendamento, affermatasi dopo che Trump è diventato Presidente. E fa riferimento ad un uso politico della legge. Chi ne sono i fautori e perché sbagliano?
Erano diverse le ragioni per dire che i progressisti, sul caso del Colorado, erano dalla parte sbagliata. Prima di tutto, la Sez. 3 del XIV Emendamento si riferisce e si applica a chi occupa un pubblico ufficio, come ai membri del Congresso e dei singoli Governi statali. Si applica agli elettori del Presidente e del Vicepresidente. Ma l’elenco non comprende il Presidente e per questo non gli si applica. In secondo luogo, come ha affermato la Corte Suprema, il XIV Emendamento impone al Congresso di approvare una legge che definisca termini e procedimento per questa specie di interdizioni. E questo perché il XIV Emendamento non dice nulla sul procedimento necessario a determinare se qualcuno è legittimato o meno a ricoprire una certa carica.
La differenza tra un sistema presidenziale – come quello USA – e un sistema parlamentare – come quello italiano – è il voto di sfiducia. L’impressione è che il famoso impeachment su cui ruota ormai ogni presidenza americana, da Trump in poi, sia divenuto una specie di equivalente funzionale della questione di fiducia europea. Basta pensare, dopo Trump, all’attenzione posta alla vicenda di Hunter Biden. Perché prima non era così?
Credo che trasformare la messa in stato d’accusa in un voto di sfiducia non sarebbe in linea con il nostro sistema istituzionale. Questa situazione si è creata nel periodo 2019-2020, ai tempi dalla prima messa in stato d’accusa del presidente Trump, per condotte che non arrivavano ad avere rilevanza penale. In America la ratio della messa in stato d’accusa non è quella di sanzionare un titolare di pubblica funzione per una scarsa resa politica. Nelle parole di Alexander Hamilton, è invece quella di rimuovere un pubblico ufficiale che abbia commesso un qualche crimine contro il sistema istituzionale.
Un cosa completamente diversa.
Sì. In America legislativo ed esecutivo sono scelti con elezioni diverse e distinte, che si svolgono in momenti diversi. Per questo fra legislativo e l’esecutivo c’è una netta separazione. Un meccanismo di sfiducia semplicemente non avrebbe senso. Per capirci, il nostro Presidente non rappresenta il Congresso nello stesso modo in cui il Presidente del Consiglio italiano rappresenta la coalizione di governo che lo esprime.
Lei ha appena citato Hamilton, ma si sa che tutte le costituzioni sono sottoposte al mutare dei tempi. Perché è bene tenere ferma una interpretazione che nel diritto statunitense viene definita “originalista”?
Se i giudici non interpretano la Costituzione sulla base della ricerca e della comprensione delle idee di coloro che l’hanno adottata, il rischio – ed è più di un rischio – è che costoro finiscano, con le loro decisioni, di mettere in Costituzione quelle che in realtà sono solo le loro personali filosofie e i loro personali obiettivi politici.
Francis Fukuyama sul Corriere della Sera (4 marzo 2024) ha formulato una sorta di “dilemma democratico” che a suo avviso imprigiona gli USA: la nostra speranza contro un Presidente che si considera “legibus solutus” è Scotus, ma Scotus è stata “plasmata” dallo stesso Trump. Ha torto o ha ragione?
L’errore che sta alla base di questo giudizio è quello di dare per scontato che i giudici della Corte Suprema siano legati da una qualche forma di lealtà, di tipo politico o personale, al Presidente che li ha nominati, come se fossero membri o funzionari del Governo. Innanzi tutto bisogna capire che a scegliere i giudici non sono i Presidenti da soli: la loro nomina dipende dal consenso del Senato. E in secondo luogo bisogna capire che, essendo stati nominati a vita, i giudici, una volta entrati in carica, si trovano in una posizione di terzietà rispetto alle vicende politiche ordinarie. Sono queste, ad esempio, le ragioni per cui i giudici della Corte Suprema si sono pronunciati diverse volte contro le aspettative del Presidente che li ha nominati.
Vale anche per Trump?
Nel 2020 la Corte Suprema ha bocciato tutti i ricorsi di Trump volti a mettere in dubbio la regolarità dei conteggi elettorali.
Qui andiamo ad un punto rilevante. In Europa si dice che “I giudici sono soggetti alla legge e soltanto alla legge”. C’è qualcosa del genere nel Rule of law americano? In altre parole, contano le persone (i singoli Justices) o contano solo il testo della Costituzione e i ragionamenti che i singoli Justices propongono sulla base del testo?
L’equivalente americano della vostra formula sta nell’impegno a difendere la Costituzione che i Giudici della Corte assumono sotto giuramento. A questo si deve aggiungere che la Costituzione è la legge suprema del Paese. E per questo è sovraordinata tanto alle leggi e ai decreti del Governo come ad ogni soggetto che occupi un ufficio pubblico.
Dunque, tornando alla decisione della Corte Suprema, uno Stato non può decidere di ammettere o di escludere dal voto un candidato, perché non è sua prerogativa. Nondimeno, resta aperto il problema: Trump è un insurrezionalista o no? Cosa ha detto Scotus sul punto e lei cosa pensa in merito?
La Corte Suprema è stata molto attenta a non pronunciarsi sul punto della “insurrezione” di Trump. Biden ha accusato Trump di essere un insurrezionalista, ma il Dipartimento di Giustizia si è rifiutato di avviare qualunque azione penale. Il solo atto formale prodotto del sistema americano è stata, finora, l’assoluzione votata nel 2021 dal Senato nel procedimento di impeachment: e uno dei capi di imputazione riguardava proprio l’incitamento alla presunta insurrezione del 6 gennaio. Personalmente, non posso dire che Trump abbia realmente commesso un crimine di insurrezione. E a tutt’oggi non ho visto prove sufficienti che abbia agito in tal senso. L’istruttoria del Comitato del Congresso non mi ha mai persuaso.
È possibile che Scotus non si pronunci sull’immunità di Trump prima del voto di novembre. A questo proposito lei ha scritto che il giudizio sulla sua responsabilità (nei fatti di Capitol Hill) è affidato agli elettori americani, “exactly the way the Founders wanted it”, proprio come volevano i Padri fondatori: cosa significa?
Penso che la Corte Suprema deciderà sull’immunità di Trump verso la fine di giugno. E mi aspetto che la Corte rigetti l’impugnazione contro l’applicazione dell’immunità. Allo stesso modo, sarà difficile che si giunga ad un verdetto prima delle elezioni in qualunque altro procedimento. Sono convinto che gli elettori abbiano la capacità di decidere da soli se Trump abbia agito o no da insurrezionalista, e se e perché lo si possa ritenere in qualche modo responsabile.
Può spiegare meglio questo punto?
Se una maggioranza di americani pensasse che Trump ha dato vita ad una insurrezione la vera sanzione starebbe nel fatto di non essere rieletto Presidente. E gli elettori potrebbero esprimersi in tal senso semplicemente votando Biden. Oppure possono ritenere che Trump non sia responsabile dei disordini del 6 gennaio e che in quell’occasione le violenze non abbiano raggiunto un livello tale da parlare di insurrezione. Alla fine sono dell’idea che i Padri fondatori abbiano ritenuto che il giudizio su questioni di questo genere spetti al popolo americano. E proprio oggi stiamo vedendo quanto sia difficile gestire problemi di questo genere con i soli strumenti della giustizia penale.
(Federico Ferraù)
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