Il ritiro di Bernie Sanders dalle primarie del Partito Democratico lascia via libera a Joe Biden come candidato ad affrontare Donald Trump il prossimo novembre. Il programma di Sanders si presenta come troppo progressista anche per buona parte dei Democratici, ma ciò non ha impedito che nel 2016 arrivasse al ballottaggio con Hillary Clinton. Sanders ha iniziato molto bene queste primarie, ma via via diversi concorrenti si sono ritirati, quasi tutti invitando i propri elettori a sostenere Biden, che lo ha superato. Sanders ha dovuto inoltre fronteggiare la concorrenza a sinistra di Elisabeth Warren, che ha finito poi per ritirarsi, ma ormai la partita si è fatta estremamente difficile per Sanders, che l’ha giudicata infatti persa.



Sia per Sanders che per Biden questa era ragionevolmente l’ultima occasione data la loro età: il primo 78 anni, il secondo 77. La Warren è settantenne ed è probabile che conti di assumere la guida della sinistra del partito in vista delle prossime presidenziali, facendo tesoro del forte cambiamento apportato da Sanders nel panorama politico. Nel suo messaggio ai suoi sostenitori, Sanders ha affermato che, comunque, la sua campagna ha cambiato la consapevolezza degli americani sul tipo di nazione che vogliono essere, all’insegna della lotta per una maggiore equità economica, sociale, razziale e ambientale. E ha aggiunto che “stiamo vincendo la battaglia non solo ideologicamente, ma anche generazionalmente.” In effetti, Sanders ha avuto un buon appoggio tra i più giovani e i latino-americani, mentre minore è stato  il consenso tra gli afro-americani.



Uno dei motivi del crescente successo di Biden nelle primarie è il timore che la candidatura di Sanders potesse allontanare molti elettori moderati, favorendo così Trump. Biden è un uomo di apparato e con una personalità non particolarmente brillante – Trump lo chiama “Sleepy Joe” -, ma questo potrebbe non dispiacere a quegli elettori che non apprezzano l’eccessivo protagonismo di The Donald. Tuttavia, Biden deve affrontare, oltre che Trump, anche l’eredità che Sanders lascia al partito e in particolare due punti del suo programma: la lotta alle diseguaglianze e l’introduzione di un sistema sanitario alla europea, il Medicare for All Program.



L’epidemia del coronavirus, che ha colpito seriamente anche gli Stati Uniti, costringe Biden e il partito a non trascurare questi due punti. La lotta al virus rischia di porre nettamente in evidenza i limiti dell’attuale sistema sanitario, basato sulle assicurazioni, e le diseguaglianze che esso crea tra la popolazione, ancor più aggravate dall’epidemia. L’intervento, pur parziale, di Obama con il cosiddetto “Obamacare” è stato uno dei principali punti di attacco da parte di Trump, ma ora i Democratici dovranno proporre qualcosa di ancor più esteso, anche se forse più limitato rispetto al programma di Sanders. Ciò procurerà qualche mal di pancia dalle parti di Wall Street, in particolare tra le compagnie assicuratrici, cosa che non sarà gradita a una parte dell’establishment Democratico.

Biden troverà anche qualche difficoltà nel contrapporsi frontalmente alla campagna di Trump contro le immigrazioni, dato che l’epidemia sta provocando un forte incremento della disoccupazione, rendendo più ampia la percezione degli immigrati come una minaccia per i lavoratori americani. Né potrà essere utilizzato più che tanto un altro argomento di frattura tra Democratici e Repubblicani: la politica ambientale. A meno che la fine dell’epidemia avvenga pienamente prima delle presidenziali, perché altrimenti saranno altri i problemi che preoccuperanno gli elettori.

Molto dipenderà, ovviamente, da come Trump riuscirà a gestire la crisi, ma in questo momento i Democratici, con Biden, sembrano un po’ sulla difensiva: con Sanders sarebbero stati all’attacco, anche se con esiti incerti. A meno di errori clamorosi da parte di Trump e una crisi nel partito Repubblicano, ma per il momento non paiono esservi antagonisti interni in grado di sfidare il Presidente.