La democrazia americana rischia, ma i mercati fanno imperturbabili il loro dovere: moltiplicare i profitti. Dunque non è Wall Street ad avvertirci di quello che sta per accadere. “Le borse reggono qualsiasi urto se il potere garantisce denaro gratis, spesa pubblica a volontà per mantenere i consumi, tasse basse per la Silicon Valley e deregulation per Wall Street” dice al Sussidiario Chris Foster, una vita nei mercati finanziari tra Londra e New York.
Il fatto è che “nessuno dei due lati accetterà la sconfitta”, spiega Foster, e grandi fiumi di denaro sono e saranno investiti per produrre instabilità. La battaglia per la Corte suprema, con la nomina di Amy Coney Barrett, si colloca in questo contesto. I democratici useranno il debate per portare alle urne la componente più di sinistra dei Dems, che delusa dalla leadership, non andrebbe a votare. E questo sarà solo l’inizio. Insomma, scordiamoci il pareggio Bush-Gore, perché la situazione è realmente preoccupante.
Foster, le elezioni americane sono o no in cima alle preoccupazioni degli investitori?
La tensione sta salendo, ma se guardiamo alla tenuta dell’azionario americano in combinazione con il grande rally dei titoli obbligazionari – dai titoli del governo Usa alle obbligazioni corporate ad alto rischio –, diremmo che da fine marzo a oggi il mercato guarda più alle aspettative sui risultati aziendali e al supporto fiscale e monetario che al gioco delle probabilità Trump-Biden.
Quindi lei sostiene che mentre il mondo trepida per i risultati del 3 novembre, Wall Street pensa alle trimestrali in arrivo tra ottobre e novembre?
Chi ha avuto la pazienza di leggere qualche mio spunto sul Sussidiario, sarà annoiato dal sentire la stessa storia ancora una volta.
Cioè quella dei risultati aziendali?
Esatto. Ci sono centinaia di papers accademici e analisi dei brokers che cercano di identificare delle correlazioni significative tra risultati Democrats vs Republicans e mercato azionario, tra anni elettorali e forza del dollaro, eccetera. Nessun risultato è convincente.
Davvero non ci sono punti di riferimento?
L’ho detto: solo il trend dei corporate earnings e le stime di crescita degli earnings per i trimestri successivi sembrano identificare l’unico “pattern” credibile. I tassi a zero aiutano a sostenere valutazioni altissime e altrimenti considerabili folli.
Ma perché accennava all’aumento della tensione negli investitori?
Queste elezioni sono profondamente diverse dalle precedenti. Da qui nasce la tensione, che non si traduce ancora in un calo di mercato per il semplice motivo che l’outlook economico è fortemente influenzato dalle previsioni di politica fiscale senza vincoli di bilancio e supportata da una politica monetaria che a grandi passi va verso un concetto vicino alla Modern Monetary Theory (Mmt).
Non ci ha detto il vero fattore di differenza tra queste elezioni e le altre.
Il livello di polarizzazione della politica Usa ha raggiunto livelli inimmaginabili fino pochi anni fa. E non era pensabile che una democrazia storicamente bipolare e matura come quella americana potesse essere oggi davvero in una situazione tale da non saper gestire un aumento di tale polarizzazione, con rischi forse più conosciuti nelle democrazie europee che in Usa.
Cioè, in parole povere, come in molti sostengono, Trump è oggi più che mai una minaccia per il sistema democratico Usa?
Lo stile e la gestione del potere combinati con la retorica di Trump sono nuovi nel contesto Usa. Ma sarebbe estremamente superficiale e tristemente “mainstream” individuare nel “fattore Trump” il rischio principale per la democrazia americana.
Si spieghi, perché gli opinionisti di tutto il mondo temono che Trump non accetti un passaggio di potere in modo indolore…
Non immagino Trump chiuso in un bunker con Melania a dare istruzioni all’esercito nel caso ci sia una chiara sconfitta, per capirci.
E allora chi è una minaccia alla democrazia?
Diversi fattori che sono esplosi tutti insieme negli ultimi 10 anni hanno generato situazioni anomale e uniche nel panorama Usa.
Andiamo con ordine.
Innanzitutto, non dimentichiamo che il fenomeno Trump dovrebbe recare un’etichetta sul retro: Made in Obama-Clinton. Cioè, le catastrofiche politiche sociali ed economiche della precedente amministrazione, vale a dire la più grande accelerazione delle disparità sociali negli annali Usa, la perdita di controllo del fattore Cina, in combinazione con un approccio dogmatico alla globalizzazione come generatore di benessere globale, hanno alimentato varie forme di estremismo sia a destra che a sinistra. Proporzionalmente, il partito democratico si è spinto più a sinistra di quanto i repubblicani siano scivolati verso destra.
E poi?
E poi due fenomeni prevedibili ma poco contestualizzati: l’aumento smodato del potere della Silicon Valley come grande filtro della “verità accettabile” e la crescita della componente di sinistra nei Dems. Ricorda le elezioni del 2000, Bush contro Al Gore?
Sì certo, ci sono somiglianze?
No. L’opposto. L’esito era stato davvero eccezionale per incertezza, ma al di là dello sgomento e dell’incredulità dei media europei che avevano pre-celebrato la vittoria del profeta green, Al Gore, il risultato era stato accettato senza appello alla violenza. In Europa avremmo avuto manifestazioni molto violente.
E oggi?
Oggi nessuno dei due lati accetterà la sconfitta, e fattore chiave, il partito democratico di oggi non è quello moderato di allora. E nemmeno quello repubblicano.
La nomina di Amy Coney Barrett, probabilmente confermata tra dieci giorni in Senato, come aumenterà la tensione?
La giudice Ginsburg, senza volerlo, morendo ha fatto un grande favore ai democratici.
Ma cosa dice, Foster?
Mai credere ai sondaggi americani: i democratici erano diretti verso una probabile sconfitta, soprattutto a causa dei giovani. I giovani Usa sono in maggioranza pro Dems, soprattutto quelli che frequentano i colleges, ma non amano andare a votare senza una motivazione che in Europa chiameremmo ideologico-movimentista.
Ne aveva parlato a proposito di Greta Thunberg, se non sbaglio.
Esatto. La spirale di emozioni e anche di violenza verbale del dibattito sulla Supreme Court non potrà che avere un effetto positivo sulla partecipazione dei giovani al voto.
Può spiegarsi meglio?
La componente giovane del partito democratico è fondamentalmente di sinistra e aveva aspettative di una virata a sinistra della leadership del partito. Biden rappresenta lo status quo e l’opportunismo del politico di professione senza carisma; si pensi a quanto, al contrario, Bernie Sanders ha acceso le speranze dei giovani e degli esclusi.
Kamala Harris?
È stata imposta dai grandi del tech – quindi i soliti volti senza scrupoli della Silicon Valley – e quindi nemmeno lei è il vero volto nuovo della società americana: la Harris rappresenta il prezzo che i democratici hanno dovuto pagare per mantenere tutto il blocco dei colossi tech, inclusi Facebook, Alphabet, Twitter dal proprio lato.
Un esempio qualsiasi dell’aria che si respira… il primo che le viene.
Il figlio di un mio amico iscritto alla Columbia sostiene che dei suoi classmates, tutti anti-Trump, quasi nessuno voterà Biden. Semplicemente non andrà a votare perché disgustato da un’altra tornata elettorale che spegnerà ogni speranza per una società su misura per loro.
E la nomina della signora Barrett alla Corte suprema porterà davvero i giovani alle urne a votare Biden?
Questo è l’obiettivo del caos che sta per scatenarsi negli Usa: aizzare gli animi della componente più a sinistra dei dems che non andrebbe a votare. Le elezioni si vincono o si perdono sull’economia, si dice, ma sono i temi ideologici che spingono i giovani ad andare alle urne e a fare la differenza. Le minorities sono già molto politicizzate e non tradiranno il lato dem. Chi potrebbe tradire è chi si sente a sua volta tradito per la seconda volta dall’eliminazione “scientifica” di Bernie Sanders.
Ma quando lei parla di caos, esattamente che cosa intende?
Intendo manifestazioni di piazza peggiori di quelle che abbiamo visto nei mesi scorsi come reazione all’uccisione di George Floyd. Inoltre, esistono fonti di finanziamento e supporto politico ma anche mediatico ben più interessate a mantenere il caos per lungo tempo. Il tema Black Lives Matter, per esempio, non interessa a nessuno di quelli che ne fanno uso quotidiano per marketing. Qui invece si gioca una parte importante della storia Usa e troppi interessi sono direttamente coinvolti.
E tutto questo non avrebbe ripercussioni su Wall Street?
Le borse reggono qualsiasi urto se il potere garantisce denaro gratis, spesa pubblica a volontà per mantenere un minimo di crescita dei consumi, tasse basse per la Silicon Valley e deregulation per Wall Street. Biden può creare un po’ di volatilità a causa del tema corporate tax e regulation, ma alla fine i big tech e Wall Street non lo stanno finanziando per amicizia. Joe può essere poco brillante ma è sicuramente affidabile, niente sorprese.
(Federico Ferraù)