MINNEAPOLIS – È presto, I know, ma la lista si sta allungando così tanto che provare ad inquadrarla magari aiuta un po’ ad orientarsi. Sto parlando dei candidati repubblicani che aspirano alla nomination per l’anno prossimo. Quelli che vorrebbero diventare “Mr. President”, sfidando prima la concorrenza interna, Trump in testa, e poi quell’uomo mezzo mummificato che risponde al nome di Joe Biden. Sempre che i democratici non si arrendano all’evidenza della scarsa competitività dell’attuale presidente e riaprano il discorso sul loro candidato. Qualcuno dovrà pur trovare il coraggio di dire a Biden che non è il caso di ripresentarsi. Ma per oggi guardiamo il fronte repubblicano che si sta affollando molto rapidamente. In fondo a candidarsi ci vuole poco.
Anzitutto i tre requisiti costituzionali: be a natural-born citizen of the United States, ovvero essere “nato americano”, be at least 35 years old, avere almeno 35 anni, have been a resident of the United States for 14 years, aver risieduto negli Stati Uniti per 14 anni. Qualche modulo da compilare e via, ci si candida. Siamo nel Paese dei “liberi”, lo può fare chiunque. Le cose che contano, soldi (tanti), carisma, idee e magari anche un briciolo di ideale, serviranno per entrare nel battlefield della campagna elettorale. Così si parte tutti allineati, ma solo per pochi la corsa sarà lunga. Molti si fermeranno ai box dei primi confronti televisivi e dei primi risultati elettorali, come le Ferrari tirate a lucido prima di partire, nel loro rosso sfavillante, ma che poi non arrivano mai al traguardo.
Negli anni abbiamo visto personaggi blasonati e teoricamente accreditati svanire nel nulla come una bolla di sapone, liquidati da personaggi imprevisti e imprevedibili. Vedi ad esempio Jeb Bush contro Donald Trump nel 2016. Questa volta, non più né imprevisto né imprevedibile, Trump si presenta come il frontrunner, il capofila dei conservatori, facendosi un baffo delle incriminazioni penali che lo assediano e snobbando con nonchalance (almeno all’apparenza, secondo il suo stile) i suoi rivali compagni di partito. Stiamo pur certi che tra tutti quelli che si sgonfieranno lungo il cammino non ci sarà Trump. Donald ha già dimostrato più volte di essere “quasi invincibile”.
Vedremo invece di cosa sarà capace quello che al momento sembra essere il rivale più trendy, ovvero Ron DeSantis, governatore della Florida, una sorta di Trump a basso tasso alcolico, ma molto determinato nell’edificazione di uno Stato che tuteli i valori conservative a suon di leggi. Che piaccia o no. Lui, più di ogni altro, è atteso ai primi confronti televisivi dopo una partenza così-così via Twitter in compagnia di Elon Musk. Comunque, quantomeno la gente sa che DeSantis esiste e ne ha presente la faccia (se non le azioni politiche). Cosa che non si può dire dei vari Ryan Binkley (businessman di Dallas), Larry Elder (African-American proveniente dal mondo dei media), Vivek Ramaswamy (ex Ceo di una farmaceutica), Perry Johnson (che ha già “bucato” una nomination a governatore del Michigan) e un tot di altri. Ma perché non stanno a casa?
Ci sono poi quelli che la gente comune conosce, ma che magari sarebbe contenta di non conoscere o almeno di non avere più in giro per le alte sfere. Chris Christie, già governatore del New Jersey e aspirante presidente nel 2016, Mike Pence, già vicepresidente di Trump, brav’uomo che ha avuto l’ardire di rigettare le accuse di brogli elettorali mosse da Trump nel 2020. Senza infamia e senza lode, almeno all’apparenza non un uomo da battaglia, ma certamente più presentabile di quella sfasata di Kamala Harris, la nostra attuale vicepresidente. Ma chi glielo fa fare a Pence di ributtarsi nella mischia? Ted Cruz, ad esempio, ha resistito alla tentazione scegliendo di puntare a sedersi comodamente in Senato per un terzo mandato.
Ma c’è un altro personaggio da tenere sott’occhio. Potrebbe finire strangolata nella lotta tra Trump e DeSantis, ma sulla carta Nikki Haley è la candidata più preparata e scaltra politicamente con i suoi due mandati da governatore della South Carolina, l’esperienza di ambasciatore alle Nazioni Unite e quella come membro del gabinetto presidenziale. Una donna tra i conservatori, oplà! Per giunta una donna con sangue indiano (nel senso di indiano dell’India), doppio oplà!
Teniamola d’occhio anche perché le statistiche ci dicono che la metà dei votanti alle primarie repubblicane sono donne, e il calendario elettorale presenta presto la sfida in South Carolina, dopo Iowa e New Hampshire. Un risultato significativo all’inizio dell’avventura potrebbe darle quella popolarità che al momento le manca. Vedremo se Trump se la mangerà, vedremo come DeSantis si comporterà e vedremo anche come Haley saprà muoversi rispetto al suo rapporto con Trump, ribaltato dai fatti del 6 gennaio 2021. La partita è appena cominciata.
God Bless America!
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