MINNEAPOLIS – Cinque milioni e 700mila contagiati, oltre 177mila morti, eppure sembra che tutto abbia un significato solo in chiave politica. Più precisamente potremmo dire in chiave elettorale, perché ormai manca veramente poco alle Presidenziali di novembre. Maschere, vaccini, lockdown, tutto appare come un pretesto, un pretesto elettorale, per attaccare o difendersi, per provare l’incapacità degli avversari o disvelarne le meschine macchinazioni. Come se in fondo di quel che sta accadendo non gliene importasse granché a nessuno eccetto quelli colpiti direttamente o indirettamente dalla malattia.



In questo scenario confuso e nebuloso il paese appare sempre più incerto nei suoi passi ed infiacchito come non mai nel suo procedere. Gli indici della Borsa (che apparentemente gode di ottima salute) sembrano un ironico artifizio, una presa in giro o una battuta di cattivo gusto tra disoccupazione montante, esercizi commerciali ed attività di ogni sorta che si trovano costrette alla resa. Il Presidente sale sul podio e da Charlotte, South Carolina, dalla “sua” convention repubblicana, risponde al nemico, alla convention Democratica di Milwaukee conclusasi da pochi giorni. Donald Trump, a modo suo, ci avverte che – non l’avessimo ancora capito – i Democratici cavalcheranno il coronavirus per farlo capitombolare da quel trono che lui, Donald, non ha nessuna intenzione di abbandonare. Lui e quel partito repubblicano che gli ha appena riconfermato la sua piena fiducia.



Ecco, dietro quell’approval del partito c’è il segnale di un qualcosa su cui è difficile puntare il dito, un qualcosa che per un osservatore esterno risulta assolutamente incomprensibile. Ammetto che dopo 26 anni d’America faccio fatica anche io a capirlo, perché per quanto abbia girato in lungo ed in largo ho (avevo) sempre vissuto a New York City, che è un mondo a sé, non “l’America”.

Di cosa sto parlando? Di quel “qualcosa” che incredibilmente permette a Donald Trump di essere in corsa come non mai per un secondo mandato nonostante la scellerata gestione del coronavirus, ultimo e drammatico esempio di incapacità, incompetenza, contraddizione, presunzione e prepotenza. Sto parlando del fatto che qui, nella pancia del paese, in mezzo agli uomini bianchi che da lungo tempo hanno vissuto sentendosi assediati, diseredati, declassati, dimenticati, in sostanza privati del “sogno” che è l’unico sangue che scorre nelle vene dell’umanità a stelle e strisce, Trump oggi più di sempre è El Cid Campeador.



Il baluardo, colui che non permetterà a nessuno di svilire l’American dream riducendolo ad una polpetta social-democratica, colui che non permetterà allo Stato di venirmi a dire chi essere, cosa fare, come tirare su i miei figli, come curarmi, come difendere ciò che ho costruito, fino a quali e quante armi tenere in casa. Trump, lo stesso Trump che ha sorpreso tutti vincendo nel 2016. Lo stesso, oggi più che allora. E oggi più che quattro anni fa la demagogia democratica non prevarrà!

Questo è quel che vedo. Alcune cose le condivido, altre no, perché incapacità, incompetenza, contraddizione, presunzione e prepotenza ci sono, come c’è un virus col quale si è scherzato troppo, come c’è un’interminabile lista di collaboratori tutti cacciati al primo sintomo di dissenso, la cattiveria verso chi non è con me.

Ma agli errori di Trump i Democratici sanno solo rispondere con le loro routine politicamente corrette e con una mortifera ovvietà ideologica.

Due forme di politica apparentemente così lontane eppure cosi simili nella loro incapacità di ascoltare l’altro, di accoglierne bisogni ed esigenze, di immaginare creativamente un volto oggi per l’American dream.

Due forme cosi simili nella loro ultima intolleranza.

Speriamo che qualcuno abbia la forza ed il coraggio di cominciare ad ascoltare e dialogare.