MINNEAPOLIS – Ci volevo provare. Ci ho provato e ci proverò ancora. Potrà sembrare una cosa normale, persino banale, ma col clima che c’è nell’America di oggi invitare amici a casa propria per dialogare (così l’avevo messa) sulla politica è un po’ un azzardo. Roba da compromettere i rapporti, anche quelli familiari. L’invito non era neanche a discutere quale partito o quale candidato sostenere, quanto cercare di raccapezzarsi con un ballot (scheda elettorale) così fitto di nomi e cariche da incutere soggezione. Ma soprattutto era un invito a riflettere su quel che è legittimo chiedere ed aspettarsi dalla politica.



Raccapezzarsi con il ballot … Tanto per darvi un’idea di come funzionano le cose qui da noi, io, cittadino del District 6 del Minnesota, martedì 8 novembre sono chiamato ad eleggere: a livello federale un membro della Camera; a livello statale governatore e vice-governatore, un senatore ed un deputato, il segretario di Stato, l’Auditor e l’Attorney General; a livello di contea (un po’ l’equivalente della provincia), il Commissioner, l’Auditor-Tesoriere, lo Sceriffo (siamo pur sempre in America), l’Attorney, il Supervisor di terra e acque; a livello di città (il comune) un consigliere, oltre a rispondere a due quesiti di tipo referendario su come investire i soldi pubblici raccolti dalla tassazione locale e sul fatto che la città debba o meno emettere bonds per imbellirsi un po’.



E non è finita. Si passa a pagina due per nominare tre membri del board del distretto scolastico, un membro della Corte suprema del Minnesota, un Associate Justice, ed infine una lunga teoria di giudici delle varie Corti di appello e di distretto.

Le elezioni di Midterm in America sono tutto questo, e tutto in qualche misura segnerà il cammino del Paese, il suo modo di pensarsi ed essere nei due anni a venire. Ma è chiaro che il nocciolo della questione sono le cariche “pesanti”: il senatore ed il deputato che possono fare la differenza nella maggioranza parlamentare a Washington, il governatore ed i nuovi eletti al Senato ed alla Camera dello Stato che si troveranno a gestire – tra le altre cose – la patata bollente dell’aborto, rimessa dalla Corte suprema nelle mani delle amministrazioni statali.



Le Midterm elections da sempre sono una sorta di referendum sul partito al potere e tradizionalmente comportano un certo ridimensionamento di chi governa. Ma questi sono tempi strani tra post pandemia, inflazione, odore di recessione ed una Corte suprema che ha messo con le spalle al muro cinquant’anni di aborto per cui neanche i commentatori politici si azzardano a fare previsioni e tra la gente comune tutti si ritraggono da conversazioni che potrebbero portare ad una dichiarazione di voto – a meno che si sia tra “guerrieri di partito”, quelli per i quali il tema aborto (da un verso o da un altro) è lo spartiacque di tutto.

Allora meglio non incagliarsi parlando di quel voto che diventa ostacolo insormontabile e fonte di inimicizia. È per questo che la conversazione fatica a decollare, ed il riserbo protegge dal farsi del male scoprendo “il voto”, le sue ragioni ed i conseguenti motivi di divisione. Così di politica non se ne parla e nessuno si fa male. Del resto il voto è segreto, no?

Mi viene in mente quella signora, una “studentessa” di una certa età, che durante l’esame di diritto costituzionale (parliamo di quasi mezzo secolo fa), chiamata a spiegare il perché della segretezza del voto, rispose: “Io non lo so, ma chi l’ha deciso deve aver avuto le sue buone ragioni”… Le “buone ragioni” per non parlare del voto e di politica in nome del quieto vivere e dei buoni rapporti possono sembrare tante, ma la trappola della privacy ci fa dimenticare troppe cose. Ci fa dimenticare il lungo percorso che ha portato al riconoscimento ed alla tutela del suffragio universale, ma soprattutto ci impedisce di dialogare e chiederci seriamente cosa vogliamo per noi stessi, per la nostra gente, la nostra città, il nostro Paese. È un cammino necessario, e si può provare a partire anche dal soggiorno di casa propria.

God Bless America!

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