NEW YORK – Oggi si terranno le elezioni di metà mandato, “midterms”. Queste elezioni sono cruciali per gli Stati Uniti e strategiche per il proseguimento del mandato di Joe Biden. Determinando l’equilibrio di potere nel Congresso, hanno un impatto diretto non solo sul contenuto delle future proposte di legge, ma anche sulla capacità dei partiti di farle passare. Sono in palio tutti i 435 seggi della Camera dei rappresentanti, un terzo dei seggi del Senato, due terzi dei governatori e altre cariche locali. Spesso considerate come un referendum a favore o contro il presidente in carica (tradizionalmente il partito al potere le perde), queste elezioni del 2022 sono atipiche per più di un aspetto.
Innanzitutto perché si tratta di una “elezione presidenziale bis” con gli stessi avversari, Joe Biden contro Donald Trump; il presidente eletto, contro, per una larga fetta di americani, il presidente a cui è stata rubata l’elezione. Due anni dopo e mentre una commissione parlamentare indaga sugli eventi del 6 gennaio 2021 a Capitol Hill e l’ex presidente è chiamato davanti alla giustizia per altri fatti, siamo ancora allo stesso punto, nonostante un bilancio legislativo piuttosto positivo per l’amministrazione Biden. E questa è certamente una delle espressioni della frattura che oggi divide l’America.
Oggi vanno alle urne due Americhe, due popolazioni per le quali la percezione della realtà non è più la stessa. In questo clima sociale fortemente radicalizzato, dove l’ideologia e la violenza permeano il dibattito pubblico e dove Donald Trump ha portato il partito repubblicano a negare la vittoria di Joe Biden, si è giocata una campagna da quasi 10 miliardi di dollari, lasciando la violenza dei messaggi e la denigrazione dell’avversario ad occupare il campo. Per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, la spesa pubblicitaria per le elezioni di metà mandato ha superato quella per le elezioni presidenziali. In Florida, ad esempio, il carismatico governatore Ron DeSantis, figlio spirituale di Donald Trump e candidato alla sua rielezione, ha prenotato pubblicità per 62 milioni di dollari, sette volte di più del suo rivale Charlie Crist.
La guerra “dell’informazione”, dove tutti i trucchi sono consentiti, soprattutto sui social network, ha visto un’esplosione di violenza e un richiamo all’odio senza precedenti. I repubblicani si sono impegnati a dipingere uno “sleeping Joe”, responsabile dell’inflazione, dell’invasione dal confine sud e dell’aumento della criminalità (Fox News ha pure strumentalizzato l’attacco al marito di Nancy Pelosi, presidente democratico della Camera). I democratici hanno fatto campagna sui risultati positivi degli ultimi due anni (leggi ambiziose sulla reindustrializzazione, sul clima, sulla cancellazione di un parte del debito studentesco e sulla creazione di 10 milioni di posti di lavoro) e per la sopravvivenza della democrazia sullo sfondo della guerra in Ucraina. Anche la guerra è entrata nella campagna elettorale, con il pieno sostegno dell’amministrazione Biden ora meno popolare, sia a destra che a sinistra.
Alla fine dell’estate, i sondaggi indicavano chiaramente che il partito al potere era ben posizionato, perdendo la Camera ma mantenendo il Senato. Ora, alla vigilia delle elezioni, nulla è certo. Queste elezioni potrebbero essere favorevoli ai repubblicani in un contesto economico molto preoccupante, soprattutto per le classe media. L’inflazione all’8,5% sta minando il loro potere d’acquisto, fanno fatica a pagare l’affitto e il cibo e sono preoccupati per il prezzo del carburante. Secondo un sondaggio del Wall Street Journal condotto alla fine di agosto, il 62% degli americani dichiarava di soffrire per la ristrettezza del proprio budget, rispetto al 58% di marzo. In generale, gli americani ritengono che i repubblicani siano più bravi dei democratici a contenere l’inflazione. I risultati di queste elezioni ci indicheranno cosa vogliono gli americani per il loro futuro e magari anche per le elezioni di 2024.
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