MINNEAPOLIS – E così siamo giunti all’epilogo dell’avventura elettorale 2020. Almeno per coloro che non hanno perso completamente il lume della ragione. Non voler perdere è un conto (soprattutto se non ci sei abituato), ma negare l’evidenza istigando di fatto migliaia di persone ad un’insensata resistenza contro le istituzioni è ben altra cosa. Non dimentichiamo che siamo il paese del secondo emendamento, un paese armato in cui i cittadini hanno il diritto costituzionale di portare armi per difendersi dal crimine e dall’ingiustizia.



Qual è l’ingiustizia in questo caso? Per quanto il mail-in ballot possa essere teoricamente manipolabile, non c’è nulla nel processo elettorale delle presidenziali 2020 che possa nemmeno vagamente far pensare a brogli. Certamente l’esistenza di una molteplicità di normative e regolamenti rispetto alle schede ricevute per posta complica le cose ed offre terreno per possibili azioni legali. Detto ciò diciamo anche che, di poco, con un paese numericamente spaccato a metà, Trump ha perso.



Si guarderà bene dall’ammetterlo, perché lui è così, perché secondo il suo modo di essere, dalla vita privata al business, alla politica, persone e circostanze vanno trattate con il rullo compressore. Quando verso le 11.45 ora orientale l’Associated Press fa sapere al mondo che Joe Biden ha raggiunto e superato la fatidica soglia dei 270 voti elettorali, Trump sta giocando a golf da qualche parte in North Virginia. Tace, anche perché ieri – fatto storico – alcune reti televisive lo hanno censurato mentre farneticava dalla casa da dove dovrà presto sloggiare. Ecco, arriva uno statement: niente resa, bensì lotta ad oltranza fino alla certificazione dei risultati (inizio di dicembre).



Intanto metà paese festeggia per le strade di tutte le grandi città. Almeno per un giorno tutta la fermezza comportamentale (maschere e social distancing) anti-virus che in questi mesi si è colorata di politica, non vale. Tutti appiccicati per le strade ad inneggiare al nuovo Presidente. Le grandi città: sì, perché è con le grandi città che Biden è diventato il 46mo Presidente degli Stati Uniti. Non guardate il colore rosso o blu degli Stati, cercate una cartina che mostri le “contee”, quelle specie di “regioni” di cui ogni Stato è composto. L’immagine che ne risulterà è un paese “rosso”, con macchie di “blu” sparse qua e là dove sono i grandi centri abitati. Plebiscito democratico del voto “blue collar”, del voto dei “lavoratori”?

Well… secondo tutte le ricerche svolte in anni recenti quelli che soffrono di più finanziariamente, quelli con il grado di istruzione più basso ed i più giovani, insomma tutti quelli che popolano le periferie delle metropoli sono proprio quelli che non votano… Comunque sia, starà a Joe Biden tentare di ricucire quest’America sbrindellata. Se ne avrà la forza. Il paese ha cassato un Presidente in odor di tirannia ed ha scelto un moderato. Nel bilancio delle cose fatte e non fatte, delle buone e delle cattive, gli americani hanno deciso di cambiare.

I democratici si ritrovano cosi un Presidente moderato (ed anziano) che ha permesso loro di arrivare dove altrimenti non sarebbero mai arrivati, ed al suo fianco Kamala Harris, prima donna vice-presidente della storia americana. Una scelta, quella della Harris, fatta per trattenere per la giacchetta i super liberals che non si sarebbero certamente accontentati di un candidato presidenziale moderato. Così i democratici sono riusciti a rabberciare in qualche modo la frattura tra le due facce del loro elettorato metropolitano.

Insomma, un colpo al cerchio ed uno alla botte. Questo è bastato a vincere la battaglia della Presidenza, ma non la guerra per il controllo del paese.

Paradossalmente oggi con l’elezione di Biden stanno meglio i repubblicani dei democratici. I primi avranno l’opportunità di ricostruire una loro identità fuori dal pesante assoggettamento a Donald Trump, senza doversi preoccupare di comandare. Opportunità che ovviamente potranno sprecare. Nel frattempo però, mantenendo la maggioranza in Senato e avendo migliorato i propri numeri anche alla Camera, costituiranno un freno ed un fattore di controllo rilevante nei confronti della Presidenza.

I democratici invece si troveranno a combattere su due fronti: quello interno, tra chi cercherà di rimanere ancorato al centro e chi tirerà a sinistra, e quello della guida del paese, perché con un Senato a maggioranza repubblicana l’unica opzione per agire sarà attraverso il compromesso.

 God bless our President, and God bless America!