Mancano poche settimane alle elezioni presidenziali statunitensi e, a distanza di quattro anni dal precedente esito, sono molti gli osservatori e gli addetti ai lavori che commentano l’operato del presidente Trump affiancandolo a quanto è accaduto sui listini azionari Usa. Commentare il buon operato politico e pertanto economico (in questo caso presidenziale) mediante l’accostamento tra l’andamento della borsa e la gestione della “cosa pubblica” è assai frequente: lo stesso inquilino della Casa Bianca, Donald Trump, ha sempre commentato i record registrati dagli indici americani senza troppo savoire faire anzi, alcune volte, si è addirittura autoincensato come in occasione del suo tweet dello scorso 2 settembre: «The Dow Jones Industrial just closed above 29,000! You are so lucky to have me as your President. With Joe Hiden’ it would crash».



Se “la regola” tra andamento della borsa e la buona guida politica è davvero reale e consistente negli stessi fatti, i numeri, come sempre, dovrebbero confermarlo.

Soffermando l’analisi al principale listino azionario Usa (e mondiale) S&P 500, si riscontra senza alcun dubbio la crescita registrata da quest’ultimo nell’intero periodo di presidenza Trump. Dal novembre 2016 a oggi, il livello dei prezzi è cresciuto significativamente portandosi dagli iniziali 2.139,56 punti ai recenti 3.511,93 con una performance positiva di oltre 64 punti percentuali. Sulla base di questa risultanza, la precedente “regola”, confermerebbe l’eccellente risultato della guida politica del tycoon americano.



Ma, come spesso accade, e ormai è nostra nota consuetudine, il dato fine a se stesso non ci deve impressionare e, pertanto, abbiamo analizzato la dinamica del rialzo andando oltre il saldo finale. L’indice S&P 500 comprende i cinquecento maggiori titoli Usa e i primi sei sono i seguenti: Apple Inc., Microsoft Corp, Amazon.com Inc, Facebook Inc A, Alphabet Inc A e Alphabet Inc B. Il peso complessivo di questo “piccolo” paniere è pari a circa il 24% dell’intero indice (ovviamente ciascun sottostante ha un peso diverso e comunque inferiore al 7,5% ciascuno).

Simulando il classico “se avessi investito 100 dollari” (a inizio mandato presidenziale) sui singoli titoli, quale sarebbe stato il mio ritorno a oggi? I controvalori di ciascun “investimento” sono decisamente impressionanti: 436,16 (Apple Inc.), 368,55 (Microsoft Corp), 437,15 (Amazon.com Inc), 222,30 (Facebook Inc A), 192,99 (Alphabet Inc A) e 198,82 (Alphabet Inc B).



Andando a riprendere l’andamento dell’indice S&P 500, e ipotizzando il medesimo esercizio teorico, vedremmo i nostri 100 dollari arrivare a 164,12: pur sempre ottimo, ma, decisamente “avido” rispetto alla performance monstre dei magnifici sei.

Arrivati a questo punto sorge spontaneo il quesito: al netto di questo formidabile mix di azioni, quanto avrebbe guadagnato l’indice S&P 500 costituito dai restanti 494 titoli? Il risultato si attesta “solo” a una performance del 20,21% (ovvero 120,21 dollari se raffrontati ai 100 iniziali ipotizzati).

Sulla base di questi elementi le verità sull’effettiva “buona politica” del Presidente Trump vengono drasticamente ridimensionate al pari dei suoi singoli tweet che hanno contraddistinto il suo operato. I sostenitori del Presidente rimarcheranno il suo ottimo operato che, a conti fatti, ha comunque portato ai massimi assoluti gli indici azionari del Paese a stelle e strisce. I detrattori di The Donald, invece, soffermeranno le loro argomentazioni sulla scarsa crescita economica e finanziaria poiché “drogata” principalmente da operazioni di buyback sugli stessi titoli quotati.

Dazi, guerra commerciale, diminuzione delle tasse, muri con il Messico, aspri confronti con il governatore della Fed, e molto altro ancora hanno caratterizzato l’insediamento del magnate Trump. Alla fine, però, i numeri sono quelli che abbiamo visto e la finanza del Paese più potente al mondo non può essere rappresentata da solo cinque/sei colossi aziendali. Quanto potrà durare questo idilliaco mondo? Tra poche settimane, l’ardua sentenza.