NEW YORK – Prima dei risultati, e prima di far commenti, cerchiamo di capire di cosa stiamo parlando. Nella loro ricerca del candidato in grado di sfidare e (possibilmente) sconfiggere Trump, tutti i “registered Democrats” sono chiamati a esprimere la loro preferenza, Stato per Stato. Queste sono le cosiddette “primarie”. Essere “registered Democrat” solo vagamente equivale a quel che sarebbe (o meglio, fu) l’appartenenza, l’essere iscritto a un partito.



In America quando ci si iscrive alle liste elettorali (occorre farlo, non è automatico), bisogna anche qualificarsi: democratico, repubblicano o indipendente. Questo darà diritto a pronunciarsi e votare nelle “primarie” dello Stato in cui si vive. Ovviamente non tutti gli Stati hanno lo stesso peso elettorale. Il numero di “delegati” in ballo (il voto espresso si traduce in “delegati”) è proporzionale agli abitanti.



Ecco, ci troviamo appena nella fase iniziale delle primarie e già il SuperTuesday presenta sul piatto una grossa fetta della torta, mettendo in gioco 14 Stati per un totale di 1.357 delegati, dai 6 delle isole americane Samoa ai 415 della California, passando per Texas, North Carolina, Virginia, Massachusetts, Minnesota, Colorado, Tennessee, Alabama, Oklahoma, Arkansas, Utah, Maine, Vermont…

Una grande sfida per i 5 personaggi in cerca d’autore che a tutt’oggi restano in piedi, adesso che il miliardario Steyer, il giovane e speranzoso Buttigieg (che era partito sparato in Iowa) e la “equilibrata” Klobuchar hanno issato bandiera bianca. Solo 5 sopravvissuti rispetto all’esercito che si era presentato al nastro di partenza, ma, si sa come funzionano le cose, la realtà nella sua evidenza si impone all’immaginazione: “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie…”. E per ogni foglia che se ne va, per ogni candidato che rinuncia, c’è una nuova fetta di elettorato da conquistare per chi resta in campo.



In attesa dei risultati diamo un’occhiata ai contendenti e all’aria che tira in quella “house divided” che è il Partito democratico. Tanto per cominciare, avanti i vecchi! Per carità, nulla contro la categoria (nella quale mi identifico), ma è interessante questa “dominazione gerontocratica”: Sanders viaggia verso i 79, Bloomberg e Biden sono a 78. Anche la Warren con i suoi 71 anni è piuttosto “matura”. L’unica fanciulla con i suoi 39 anni è Tulsi Gabbard, che non si capisce bene perché continui a spender soldi in una campagna assolutamente priva di prospettive.

Ma veramente l’età non sembra proprio giocare a favore dei giovani. Paradossalmente – come già quattro anni fa e più di quattro anni fa – il “voto giovane” corre dietro al più anziano e fisicamente scalcagnato del gruppo, Bernie. Perché? Perché Bernie non ha mai smesso di annunciare la rivoluzione, fedele alla sua missione da Robin Hood: togliere all’1% (i ricchi) e dare al 99% (i poveri e i non ricchi), dipingendo con le sue proposte (sanità gratuita per tutti in primis) lo scenario di un “nuovo American dream” dal sapore socialdemocratico (e anche di più).

Ma è proprio su questo che anche oggi come già nel 2016 il partito non ci sta e si arrocca. I democratici sanno che senza il voto dei moderati contro Trump non hanno speranze. È per questo che ieri sia Pete Buttigieg che Amy Klobuchar hanno diligentemente archiviato le loro velleità, invitando i loro supporter a unire le forze a sostegno di Joe Biden. Uniti nella moderazione contro il “rischio Bernie”. Così in quattro e quattr’otto, dopo il trionfo in South Carolina costruito in buona parte sul voto di colore ereditato dal suo passato come vice di Obama, il vecchio Joe riesce finalmente a diventare il punto di riferimento dei “democratici mansueti” e il cavallo di battaglia del partito in quanto tale.

Joe Biden, che fino all’altro ieri sembrava bollito come un cotechino a Capodanno, si riaffaccia sul palcoscenico come l’erede di Barack Obama e come l’unico credibile e ragionevole antagonista di Trump. Biden però, concentrando tutte le energie sul South Carolina, ultima trincea della sua sopravvivenza politica, non ha avuto né tempo, né risorse per preparare questo SuperTuesday.

Bernie sì, e così anche Bloomberg, che continua a credere di potersi comprare la presidenza di questo paese.

Basteranno gli endorsement di Buttigieg e Klobuchar a regalare al vecchio Joe la mezza nomination in ballo oggi? Lo vedremo tra qualche ora.

God Bless America!