Domani, martedì 8 novembre, è per gli Stati Uniti giornata elettorale: sono le elezioni di midterm, il secondo più importante appuntamento elettorale nordamericano dopo le elezioni presidenziali.
Alle elezioni di metà mandato viene eletta la Camera dei rappresentati, principale organo legislativo dello Stato federale i cui membri rimangono in carica per 2 anni, 35 senatori (i senatori rimangono in carica 6 anni ma il Senato viene rinnovato in maniera ciclica per un terzo ogni due anni), 39 governatori, che in un sistema federale detengono il potere esecutivo nei diversi Stati, e diverse ulteriori piccole cariche locali. Sono storicamente considerate un segnale importante sull’andamento del presidente e del suo governo dopo due anni di mandato, anche se diversi presidenti sono stati rieletti nonostante il proprio partito fosse uscito sconfitto dalle elezioni di Midterm (Barack Obama l’ultimo).
Attualmente la Camera è a maggioranza democratica, con meno di 10 voti di vantaggio, mentre il Sentato è perfettamente in parità (ma la vicepresidente Kamala Harris, che presiede il Senato di diritto, ha la possibilità di votare in caso di parità, dando quindi un vantaggio democratico sui voti più importanti).
I sondaggi generali danno il partito repubblicano al 46,9%, in vantaggio sul partito democratico che è al 46%. Tuttavia, i numeri generali hanno un valore limitato, considerando che il sistema elettorale è strettamente maggioritario, con la Camera dei rappresentanti che prevede collegi territoriali basati sui numeri degli elettori e il Senato che invece prevede l’elezione di due senatori per Stato (indipendentemente che uno Stato abbia 3 o 30 milioni di abitanti).
È importante sottolineare che in questo quadro nell’80% dei casi non c’è partita: la tradizione di un certo territorio, la sua conformazione sociale, la storia di uno Stato, rendono già chiaro ben prima delle elezioni quale partito sarà a prevalere: il controllo delle due camere sarà quindi, salvo grosse sorprese, deciso dall’esito delle elezioni in una trentina di collegi alla Camera ed in 3-4 Stati al Senato.
I sondaggi più specifici disegnano diversi scenari, nei quali sembra tuttavia prevalere, almeno per il controllo della Camera dei rappresentanti, il partito repubblicano: la Camera ha un totale di 435 deputati; quindi, servono 218 seggi per avere la maggioranza: il partito repubblicano dovrebbe avere 214 seggi sicuri o molto probabili; quindi, ne basterebbe vincere 4 dei 33 seggi considerati contendibili.
Più complicata è la sfida per il controllo del Senato, dove i repubblicani già detengono 21 dei 35 seggi in gioco: ammettendo che i progressisti conquistino New Hampshire e Arizona (Stato che era tradizionalmente conservatore ma che negli ultimi anni sta virando verso il partito democratico a causa della sempre più forte minoranza ispanica ma anche dell’immigrazione dalla California, tradizionalmente liberale) il partito conservatore deve vincere in Wisconsin – Stato storicamente democratico, dove però gli operai delle grandi industrie si stanno muovendo verso il partito repubblicano –, Ohio e North Carolina (in questi tre Stati è dato in vantaggio tra i 3 e i 5 punti percentuali). Le vere sfide in gioco diventano quindi Georgia, Nevada e Pennsylvania: chi vince due di questi Stati probabilmente avrà il controllo del Senato.
In Georgia, Stato tradizionalmente repubblicano in cui nel 2020 ha vinto il partito democratico anche grazie ad una forte campagna liberal per portare a votare l’importante minoranza afroamericana, la media dei sondaggi dell’ultima settimana ipotizza il candidato repubblicano, l’ex start di football americano Herschel Walker, sostenuto da Donald Trump, in vantaggio di soli 0,6 punti contro il pastore protestante Raphael Warnock. La sfida tra i due candidati, entrambi afroamericani, si sta combattendo senza esclusione di colpi e con attacchi che coinvolgono anche la sfera personale e familiare dei due possibili futuri senatori.
In Nevada, che da Stato repubblicano è attualmente considerato uno degli Stati più in bilico, la sfida è tra due ex avvocati generali dello Stato, la senatrice uscente democratica Cortez Masto e il suo sfidante repubblicano Adam Laxalt, che negli ultimi sondaggi conduce di 0,4 punti. La prima sta facendo una campagna elettorale all’attacco sul tema dell’aborto, che vuole possibile senza limiti almeno fino alla 24ma settimana, e sottolinea il suo essere la prima donna di origini latinoamericane diventata senatrice; gode del sostegno di Obama e di importanti finanziamenti del partito democratico. Lo sfidante repubblicano si sta difendendo in maniera molto lineare sull’aborto, sostenendo una proposta di legge che lo vieti dopo il primo trimestre, e sta attaccando la rivale sui temi economici, in particolare sul tema del caro carburanti in uno Stato rurale e in cui l’auto privata è un mezzo difficilmente sostituibile.
La Pennsylvania, Stato a forte connotazione rurale ma anche caratterizzato dalla presenza di grandi industrie manifatturiere, fino al 2016, anno della vittoria di Trump, era considerato parte del blue wall democratico; oggi vede l’ex vicegovernatore progressista John Fetterman (sostenitore dell’aborto senza limiti, della legalizzazione della cannabis, di pesanti interventi pubblici nell’economia a sostegno delle fasce più deboli e molto vicino alle grandi organizzazioni sindacali) avanti di soli 0,4 punti percentuali contro il noto chirurgo Mehmet Oz, già conduttore di un popolarissimo programma televisivo, che dopo aver vinto le primarie con temi cari alla destra trumpiana sta progressivamente nella sua campagna elettorale virando al centro, per prendere i voti moderati, insistendo su inflazione e riduzione delle imposte.
I primi risultati delle sfide sopra descritte arriveranno dopo le 23 (ora italiana) di martedì, ma, considerato che le sfide più importanti hanno margini molto risicati, difficilmente prima della tarda mattinata di mercoledì saremo in grado di dire quale partito prenderà il controllo del Senato.
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