Odio le maratone elettorali. Ma quella per le elezioni Usa l’ho seguita con interesse spostandomi ogni 10 minuti da una rete all’altra, perché avevo deciso di condurre un laboratorio on-line con una decina di miei studenti universitari del corso di Comunicazione sociale che tengo da 15 anni all’Università Iulm. Dialogare su fatti così importanti con la generazione Z è molto istruttivo per capire il loro modo di pensare. Lo scopo era anche quello di analizzare il comportamento e la conduzione dei giornalisti e degli ospiti delle varie reti, oltre che il comportamento dei mass media.
In genere i giovani di questa età non seguono la politica, e non leggono per nulla i giornali. Particolarmente interessanti quindi alcune osservazioni: “Mi sembra di vedere dei pesci in un acquario, andare di qua e di là restando sempre allo stesso posto”.
“Molti, più che giornalisti sembrano militanti di partito”.
“Ma se i sondaggi ci hanno raccontato per la seconda volta tutta un’altra storia, non si può più trattare di un errore”.
“Se la quasi totalità della stampa mainstream appoggiava Biden, prefigurando una sua vittoria a mani basse, vuol dire che ha sempre meno presa sul popolo reale. Spesso lei ci ha rimproverato di non leggere i giornali, ma dopo questa pessima prova che ha coinvolto testate un tempo assai autorevoli, perché mai dovremmo farlo?”.
La modalità della conversazione in stile Facebook ha consentito una grande libertà di espressione, e molti commenti non sono adatti ad essere citati qui per la loro ruvida e spesso icastica franchezza: in realtà, durante ogni laboratorio arriviamo a stabilire un rapporto personale che a volte continua anche dopo la laurea, specie con quelli che ho aiutato a trovare un’occupazione interessante.
Ci siamo pure divertiti a stilare una classifica di gradimento: al primo posto è risultata Lucia Annunziata, per la sua capacità di analizzare con indipendenza la situazione svincolandosi dal suo credo politico favorevole ai democratici. All’ultimo Rula Jebreal, tanto bella quanto ideologicamente schierata. È stata notata la grande incongruenza della sua affermazione nel momento in cui Biden sembrava perdente: “È stata evidentemente colpa della disinformazione”. Ora, se disinformazione c’è stata, con tutti i media schierati all’unisono, è stata quella contro Trump.
L’ultimo commento dei miei studenti che ho riportato è particolarmente interessante, perché in due righe dà la spiegazione della crisi della stampa: un ambiente dove editorialisti diventati oramai delle star televisive come i virologi, se la fanno, se la dicono e se la raccontano tra di loro, seguendo più il proprio orientamento politico che “i fatti separati dalle opinioni”. Commettendo inoltre l’errore di scrivere articolesse lunghissime, che allontanano i potenziali lettori che vivono oramai immersi in quella condizione che ho chiamato “costante attenzione parziale” nel mio saggio McLuhan non abita più qui?, scritto proprio partendo dalle intuizioni emerse durante anni di laboratorio in università.
In effetti abbiamo letto per settimane apodittiche sentenze di inviati dei più grandi quotidiani italiani: “Trump sta perdendo l’appoggio degli ispanici”, “Trump ha sempre meno seguito tra i cattolici”, “Le classi medie sono conquistate dalla moderazione di Biden, molti repubblicani lo votano”. Leggendo queste sentenze, spesso reiterate, non si capisce cosa siano stati a fare in America, evidentemente hanno frequentato solo circoli democratici. Non c’è nessuno degli editorialisti di gran nome che abbia voluto, ad esempio, citare il bel numero di accordi di pace fatti da Trump negli ultimi tempi, che consentiranno ai figli del “popolo”, che vanno a fare la naja per avere uno stipendio, di farlo con la tranquillità di non essere ammazzati mentre sono in missione in un paese in guerra. Inoltre non s’è mai visto un accenno alla effettiva possibilità di brogli nelle schede inviate via posta di cui da molto tempo si discute in molti ambienti della politica americana. Per non parlare del grave, omertoso silenzio con cui sono state sepolte le nuove evidenze dei traffici di Hunter Biden in Ucraina, al punto di non poter costituire un elemento da spendere in tempo nella campagna elettorale agli sgoccioli.
Se andrà a finire con un vittoria di misura dei Democratici, i Repubblicani avranno compiuto comunque un’impresa titanica considerata sia l’imprevista tragedia del Covid, sia lo schieramento massiccio dei media, in particolare delle televisioni. Resta il fatto che l’America non corrisponde a quella che ci è stata raccontata, visto che è divisa a metà come se fossero due nazioni, come ha giustamente notato su queste pagine Riro Maniscalco: “Le uniche cose che possiamo affermare con certezza sono che ancora una volta sondaggi e profeti della politica ci hanno raccontato un bel po’ di balle mostrando tutta la loro incapacità di guardare e capire”.
Ma forse non si tratta solo di incapacità: in realtà sono corsi fiumi di denaro spesi per sondaggi pompati e per mezzi di informazione che si sono rivelati tutt’altro che liberi, anche da noi.
Quello che più amareggia, è non leggere oggi nemmeno uno straccio di autocritica da parte dei nostri soloni, che anzi si apprestano a brindare dopo aver sudato assai freddo per un giorno.
In ogni caso, il racconto dell’America in occasione delle elezioni 2020 costituisce il definitivo de profundis per un mestiere che ha smesso da tempo di essere libero.