Elezioni Usa. Economia, sanità, immigrazione. Cosa ha spostato l’ago della bilancia? Cosa aspettarsi dalle prossime settimane? E, se dovessero essere confermati gli equilibri attuali, cosa farà Donald Trump? Ne abbiamo parlato con Federico Rampini, corrispondente di Repubblica dagli Stati Uniti. Mentre i tempi del conteggio dei voti si dilatano, Trump impugna l’arma dell’azione legale contro i democratici. Se i sondaggi prevedevano un’ondata blu di proporzioni inequivocabili, il risultato elettorale ci restituisce invece, secondo Rampini, un quadro molto vicino a quello dell’America di quattro anni fa, quando spostamenti frazionali in alcuni Stati determinarono la vittoria di Donald Trump. Quella di Biden si prospetta come una presidenza equilibrata, “filoatlantica”, più prudente nella gestione della pandemia. E tuttavia dovrà confrontarsi continuamente con quello zoccolo duro dell’America repubblicana (e trumpista) che è pur sempre rappresentato in maniera maggioritaria in Senato. E che non sembra essere stato affatto eroso dai risultati (per quanto provvisori) di queste elezioni.



Quali sono gli umori, quale l’esito prevedibile?

Il quadro sembra evolversi nettamente a favore di una vittoria chiara di Biden, che è passato in vantaggio in quasi tutti gli Stati che rimangono da conteggiare. Ma il Presidente uscente non sembra dare minimo segnale di voler riconoscere questa vittoria.

Cosa succederà?



Abbiamo da un lato una vittoria chiara e indiscutibile, dall’altro ci aspetta un periodo di battaglie legali. Trump ha già annunciato e presentato una serie di ricorsi, in alcuni Stati è sicuro che si deve andare verso un riconteggio delle schede perché è la legge locale, per esempio il Wisconsin prevede che se la differenza tra i candidati è inferiore all’1% uno dei due ha il diritto di chiedere il riconteggio.

Quanto sarà lunga l’attesa?

Qualche settimana, dipende da quanto sarà veloce il riconteggio e da quali altri ricorsi si inventerà strada facendo la squadra legale di Trump. C’è per nostra fortuna una data oltre la quale non si può andare per legge, è l’8 dicembre, entro questa data tutti gli Stati devono certificare il risultato ai sensi del collegio elettorale. Nella peggiore delle ipotesi ci rimane un mese di schermaglie giudiziarie.



L’ondata blu c’è stata o no?

Non c’è stata nessuna ondata blu, tanto è vero che i repubblicani conservano la maggioranza al Senato e addirittura guadagnano dei seggi alla Camera, che rimane però a maggioranza democratica. Dietro l’ondata blu c’era un mito che da quattro anni viene raccontato dai media più importanti del Paese, quasi tutti progressisti, e cioè il mito che fosse in atto sin dall’indomani delle elezioni del 2016 un massiccio rigetto nei confronti di questo Presidente.

E non è così?

No, gli stessi media ci hanno raccontato continuamente di crisi finali e risolutive che affondavano questo Presidente, prima l’impeachment, poi il Coronavirus, poi la crisi economica da Coronavirus, poi le proteste contro il razzismo dopo l’uccisione di George Floyd. Gli eventi invece ci hanno restituito alla fine una geografia elettorale quasi identica al 2016. Dopo aver sentito annunciare la fine del mondo, il mondo è come lo avevamo lasciato quattro anni fa in termini di rapporti elettorali. Ci sono stati spostamenti frazionali a favore di Biden in alcuni stati decisivi, ma sono l’equivalente di quelli che nel 2016 portarono Trump alla Casa Bianca.

La situazione però si è rovesciata.

Si è rovesciata ma all’interno di un rapporto di forze quasi identico. Trump è sempre stato un Presidente di minoranza, ha sempre avuto grosso modo un 45% di consensi a livello nazionale, quei consensi non glieli ha tolti nessuno.

Eppure c’è stupore per la resistenza dello zoccolo duro dell’America trumpista, cosa ci sta sfuggendo? 

Lo stupore non c’è solo in Italia, comincia qui. La vittoria di Biden è importante e secondo me anche positiva ma col Senato che rimane repubblicano Biden avrà margini di manovra limitatissimi, non potrà decidere quasi nulla senza concordarlo coi repubblicani. Mettendoci nel contesto della politica europea lo paragonerei a qualcosa come un governo di coalizione.

Cosa lega veramente gli americani a Trump?

Questo è il tema vero. Se si continua a descrivere la (quasi) mezza America che ha votato Trump come una massa di razzisti, fascisti, xenofobi, ignoranti, rozzi e bigotti, ci si preclude la possibilità di capire le ragioni del voto. Questo tipo di descrizione è una condanna morale ma non aiuta a capire.

E allora qual è il motivo per cui lo hanno votato ancora in tanti?

Intanto direi che l’America è un Paese molto più capitalista, nella cultura diffusa, rispetto alla media dei Paesi europei. È un Paese che crede nel mercato, nell’impresa, che crede che il motore del benessere sia l’iniziativa privata e più o meno questa è l’ideologia che fa sì che metà del Paese voti sempre repubblicano, con o senza Trump.

Quindi fra repubblicani e democratici non è Trump a spostare l’ago della bilancia?

Trump è un personaggio sconvolgente, non voglio minimizzare, ma diciamo che ha colto alcuni temi forti, per esempio sulla Cina ha avuto ragione. I democratici sulla Cina ormai dicono quasi le stesse cose. Per la verità le dicevano già prima che arrivasse Trump, precisamente nella seconda presidenza di Obama era iniziata una revisione dell’atteggiamento sulla Cina in senso più pessimista. Trump lo ha spostato di brutto e non si tornerà più indietro, non si potrà più tornare indietro rispetto alla Cina.

Cioè?

Siamo in una guerra fredda e Biden la continuerà, anche se in termini diversi.

Come mai il tema immigrazione non ha deciso, come ci si sarebbe potuti aspettare, degli esiti elettorali?

Sul tema dell’immigrazione Trump ha detto un sacco di cose ignobili, per esempio quando ha insultato i messicani, però colpisce quanti messicani lo hanno votato. Quegli immigrati che sono entrati negli Stati Uniti rispettando le regole e le leggi e che lavorano non si sentono necessariamente attirati da una sinistra radicale che propone di spalancare le frontiere a tutti, anche il mondo dell’immigrazione dentro ha tante anime e non è che gli immigrati sono automaticamente di sinistra.

E l’economia?

Nell’economia Trump non ha fatto miracoli, non è l’artefice di una crescita economica, perché nessuna economia obbedisce ai diktat del governo, però ha fatto delle cose che hanno contribuito ad accelerare una crescita che c’era già sotto Obama. E la gente gliene dà atto. Tanto che l’unico terreno su cui nei sondaggi era sempre davanti a Biden era proprio l’economia. Con la riforma fiscale ha ridotto le tasse un po’ per tutti e in particolare per le imprese.

Parliamo della sanità.

La sanità è importante e Trump per fortuna non è riuscito a fare quello che voleva. Si proponeva di smantellare la riforma di Obama e sarebbe stata una sciagura, anche se la riforma è lungi dall’essere perfetta, ma se Trump l’avesse abolita saremmo in una situazione ben peggiore, molti milioni di americani avrebbero perso l’assistenza medica.

Come sarà la presidenza Biden?

Voi che state in Italia vi potete certamente aspettare un Presidente più amichevole nei confronti dell’Europa. Biden è un filoatlantico, si è occupato molto di politica estera e ha sempre avuto ottimi rapporti con gli europei: sarà una presidenza molto più benevola verso gli europei, non ci saranno più dazi contro il Made in Italy e quelli che sono stati messi probabilmente verranno tolti. l’Europa e l’Italia ci guadagnano da un Presidente democratico come Biden.

Cosa cambierà nella gestione della pandemia?

Sulla gestione della pandemia Biden ha un atteggiamento più rispettoso delle direttive dei medici, vorrebbe imporre l’obbligo della mascherina con una legge federale. Il suo piano per cosa fare sul Coronavirus però è ancora molto generico, dovrà precisarlo presto.

Che tempi possiamo aspettarci realisticamente?

I tempi in America sono sempre lentissimi, le elezioni si tengono il primo martedì di novembre ma il Presidente s’insedia a metà gennaio, è la regola, anzi ai tempi di Roosevelt addirittura il momento dell’insediamento era a marzo.

Cosa farà Trump da grande?

Vedo tre possibilità. Una è che cominci a fare il capo di un’opposizione selvaggia, destabilizzante, e già il fatto di non riconoscere la vittoria dell’avversario è un pessimo inizio, ma fa parte della sua personalità, Trump non smetterà di essere Trump.

La seconda?

La seconda è che si atteggerà a capo di un governo in esilio interno, come a dire: “io sono il vero Presidente, mi hanno rubato un’elezione ma mi prenderò una rivincita”. Comincerà a fare campagna elettorale per il 2024, e potrebbe lanciare la carriera politica dei suoi figli, Ivanka e Donald Jr. E poi potrebbe creare una rete televisiva, è un vecchio progetto che gli frulla in testa da un po’, fare concorrenza a Fox, una Tv ancora più di destra.

Come mai nei sondaggi “votano” tutti a sinistra e poi non è mai così? Sembra quasi che chi vota a destra si vergogni di dirlo.

Una débâcle clamorosa quella dei sondaggisti. Nel 2016 potevano avere delle scusanti vista l’anomalia del fenomeno Trump, ma ripetere lo stesso errore è perseverare, è diabolico. Se chi vota a destra si vergogna di dirlo? Beh, c’è una parte degli elettori di Trump che in un certo senso si vergogna a dirlo, anche se devo dire che quattro anni fa, vista la personalità un po’ grottesca di questo signore sbucato fuori all’improvviso, ci si poteva vergognare, ma dopo quattro anni di presidenza è meno convincente come spiegazione.

E quindi come ci spieghiamo i sondaggi?

Si dice che nei campioni dei sondaggi era sottorappresentata la componente della classe operaia, tipicamente il maschio bianco senza titolo di studio superiore. Un errore di campionatura che in quattro anni poteva essere corretto. Purtroppo questi sono tutti elementi che portano acqua al mulino di Trump sulla narrazione complottista delle élite di sinistra che gli scippano il risultato. La narrazione è falsa, certo, ma le élite e l’establishment di sinistra fanno di tutto per far credere che possa essere verosimile.

Quello che descrive è una sorta di scontro fra l’élite intellettuale, in America anche molto legata al mondo dello spettacolo, e il gruppo di interessi più “capitalistici” dei proprietari terrieri o dei piccoli imprenditori?

Certo, quando dico dello spirito capitalistico non mi riferisco ai grandi capitalisti, i grandi capitalisti non sono per Trump, anche se Trump è un miliardario; i democratici hanno avuto la possibilità di spendere il doppio di lui per questa campagna elettorale. Tutti i giganti della California, dell’economia digitale e della Silicon Valley sono schierati a sinistra, Bezos è proprietario di uno dei più importanti giornali di opposizione. Il grande capitalismo non ha mai appoggiato Trump, anche se poi ne ha ricevuto dei benefici. La riforma fiscale è andata benissimo alle grandi imprese ma ideologicamente loro non erano dalla sua parte.

(Emanuela Giacca)