Da ogni parte del mondo – specialmente tra i leader internazionali – c’è una grandissima attesa per le elezioni in Venezuela di domani, ma anche il costante e sempre più inteso timore che le tensione scoppierà portando ad una violentissima repressione: un copione (insomma) del tutto simile a quello che si è visto già nel 2018 quando l’attuale presidente Nicolas Maduro fu accusato di brogli dall’opposizione, spingendo la popolazione a scendere in strada per manifestare il dissenso trovandosi davanti l’esercito.
Nelle elezioni di domani i cittadini del Venezuela – circa 30 milioni di persone, senza contare gli 8 milioni che hanno lasciato il paese sudamericano nell’ultimo anno – potranno scegliere tra ben 10 candidati: 8 tra questi non si pensa che riusciranno neppure a raggiungere percentuali accettabili e tutto lo scontro si giocherà tra il già citato Nicolas Maduro e l’oppositore Edmundo Gonzalez Urrutia.
Il primo è in carica ormai dal 2013 ed è considerato il successore morale del famosissimo Hugo Chavez, autore di una politica a dir poco repressiva contro i suoi oppositori; mentre il secondo ha preso (all’ultimo) il posto della favoritissima Maria Corina Machado – esclusa dalle urne con l’accusa di corruzione – e corre per il partito Piattaforma democratica unita: a livello nazionale sta incassando ottimi consensi, mentre in tutto il mondo è noto per diversi lavori svolti tra l’Unione Europea e gli States.
I sondaggi sulle elezioni in Venezuela: tesa a testa durissimo tra Maduro e Gonzalez
Se ci soffermassimo un attimo sui sondaggi per le elezioni in Venezuela l’esito sembra essere tutto fuorché scontato: da un lato i media governativi e quelli vicini a Maduro gli attribuiscono percentuali attorno al 60% che si ripetono identiche nei confronti di Gonzalez se ci si rivolge ai media vicini all’opposizione; con l’indipendente Orc Consultores che stima il 60% per l’opposizione e solamente il 13% per il presidente uscente.
Il dato interessante da osservare – oltre a quanto accaduto nel 2018 – è che da quando salì al potere Chavez (era il 1999) l’opposizione ha vinto solamente in due occasioni: la prima era relativa ad un referendum costituzionale di poco conto, la seconda alle elezioni che interessarono il Venezuela nel 2015; mentre per la giornata di domani l’attesa è tantissima perché da ogni parte della popolazione sembrano arrivare sempre più grida di aiuto contro il governo ‘poco’ democratico di Maduro.
Venezuela al voto: il peso di Maduro, le richieste della popolazione e gli strapoteri dell’esercito
Di fatto ad oggi il Venezuela versa in una condizione a dir poco critica, con la sua un tempo ricchissima produzione di petrolio crollata ai minimi, un Pil che si è contratto di oltre l’80%, un economia paralizzata, più di un terzo della popolazione che è fuggita all’estero e continue e costanti razionalizzazioni (tutte al di fuori della capitale) di energia, gas e acqua corrente.
“C’è un vasto movimento che chiede il cambiamento – spiega il docente venezuelano Luis Salamanca ad Agi – è una questione esistenziale [e] in condizioni di voto normali (..) è impossibile [ipotizzare] che Maduro vinca“; ma la chiave di lettura sta proprio in quel ‘normali’ perché il presidente uscente si è già detto pronto “ad un bagno di sangue se non vinco“.
Dalla sua il leader chavista ha un intero esercito che (spiega il Corriere) gli è fedele da decenni e gode attualmente di un ampissimo potere che – in caso di vittoria da parte dell’opposizione – potrebbe vedersi ridotto: per questo molti osservatori temono che il controllo di voti e schede di domani affidato ai soldati sarà tutto fuorché preciso ed indipendente, così come l’ultima parola spetterà comunque a Maduro che potrebbe (non tanto a sorpresa) opporsi ai risultati lamentando un qualche broglio che lo terrà al potere per altri quattro anni.