Tutto nella storia di Elisa l’aveva tenuta lontano dalla fede. La sua famiglia (“se avevo una certezza era: mio padre non crede in Dio. E neanche mia madre”); gli amici dei genitori “che erano liberi”; la frequenza, fin dalle elementari, della materia alternativa (mitologia greca) al posto dell’ora di religione; i santi raffigurati negli affreschi delle chiese che visita con il padre che erano semplicemente “i signori con il cappello giallo”; lei stessa che ha “accompagnato ad abortire almeno sei amiche”, fino all’affermazione lapidaria e perentoria: “Non ho chiesa, non ho parroco, forse non ho nemmeno un’appartenenza. Al momento non ho niente”.



Eppure anche dentro questa storia il Mistero può fare breccia. Il libro autobiografico di Elisa Fuksas Ama e fai quello che vuoi (Marsilio, 2020) è il racconto schietto, genuino, appassionato ed appassionante della conversione, fino alla decisione di battezzarsi, di una giovane donna immersa nell’Italia del 2020 (che poi per lei, “non è neanche una conversione, visto che non sono passata da un credo a un altro, ma dal nulla a qualcosa”).



Nel suo diario che sembra quasi una sceneggiatura di un film (non a caso l’autrice è una regista) le vicende vengono dipanate senza inutili sentimentalismi o false edulcorazioni, in un percorso umanissimo, che si svela al lettore senza censure dove dubbi, contraddizioni, paure, vuoti abissali, silenzi si intrecciano all’incessante scoperta che “il Mistero prende il volto delle cose che possono parlarci”. E così il racconto si snoda attraverso una serie di incontri in una vita quotidiana nella quale ciascuno di noi – credente e non – può ritrovarsi, grazie anche ad uno stile narrativo giovane e fresco, ma al tempo stesso profondo: le domande sul senso della vita e la paura per “un’esistenza qualunque”; gli amori che da soli non bastano perché, anche se sono legami “fortissimi” sono “senza mistero”; l’insofferenza per certe superficialità del pensiero dominante (“ormai basta essere donne per avere valore”) fino al desiderio di un’appartenenza a qualcosa di più grande perché “non si può stare al mondo così, come per caso”.



E in questo percorso tortuoso lo scontrarsi con le domande del nostro tempo, come quelle che le fa il compagno di allora, Giacomo: “Un’appartenenza… sai che significa davvero aderire alla chiesa? Ci sono regole. Dal sesso, alla convivenza, dall’aborto alla cremazione” oppure alle tante situazioni di scandalo nella Chiesa: “D’altronde battezzare, ma perché? Con quello che si legge, che succede. I pedofili che girano per le chiese una vergogna”. Oppure ancora la reazione della madre che alla notizia della decisione di battezzarsi le dice: “Sembra che non li leggi i giornali. C’è un casino nella chiesa, i preti indagati, e tu che fai? Decidi di farne parte, proprio ora, nel momento forse più drammatico che sta attraversando”.

Nulla viene censurato, addolcito, nascosto sotto il tappeto nella storia di Elisa. È un itinerario pienamente umano, dove la nota dominante è l’attenzione a riconoscere i cenni del Mistero nella realtà, nella vita che è sempre “un casino”, a partire da una frase pronunciata da don Francesco (pseudonimo utilizzato nel libro per l’arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori) durante il matrimonio in chiesa dei genitori di Elisa, avvenuto anni dopo quello civile: “L’uomo di fronte al Mistero ha un solo atteggiamento conveniente: l’ascolto”. Queste sue parole minano la solida indifferenza al Mistero di Elisa.

Inizia così l’avventura. La Bibbia ordinata su Amazon. La ricerca su Google: “battezzarsi da grandi”. La ricerca del Mistero per “come posso”, a partire dai “piccoli segni”, che prova a carpire infiltrandosi di nascosto nelle chiese: “vorrei che la realtà mi parlasse ancora. Faccio silenzio, provo ad ascoltare. Entro nelle chiese, mi siedo in fondo, ultime panche, e ascolto le omelie di matrimoni a cui non sono stata invitata. Mi apposto dietro le colonne, dietro i baldacchini. Osservo le funzioni normali, quotidiane”.

E poi l’incontro con don Elia, che “tratta Gesù come un amico, una persona che fa parte della sua vita. In modo normale, quotidiano” scoprendo così che “il cristianesimo è un modo di guardare la vita a partire non da un’idea ma da un fatto: Gesù”. E la scoperta che la Bibbia parla “anche di me. Attraverso una storia che è metafora di ogni storia”.

Le domande, implorate, di vedere la Sua presenza: “Mostrati. Dio. Mostrati. Mi senti? Sto dubitando. Ti sto chiamando. Fatti vedere, Invisibile. Sei così ineffabile”. E ancora: “Con chi sto parlando? Chi mi parla? Dio? Sono io? Sei tu, amore chi è?”. Domande che vibrano nell’umanità inquieta di una giovane donna “felice” e al tempo stesso “tristissima”, alla quale “manca tutto” ma “non manca nulla”. Proprio come sant’Agostino, dal quale prende il titolo del libro, Elisa non ha paura di mostrarsi per quello che è, con le insicurezze e le paure ma anche la sorpresa di voler guardare oltre, per un desiderio di vita piena che non ha trovato riposo altrove, come emerge nel primo dialogo con “don Francesco”: “Vedi, Elisa, ci sono due sguardi: uno è quello di tutti, e uno è quello di chi riesce a vedere. La fede è guardare con occhi che permettono di vedere una realtà che non è immediatamente percepibile. L’approccio è di una persona che vuole guardare oltre. Tu vuoi guardare oltre?” e lei che risponde: “Non ho mai voluto altro”. E nel lettore riecheggia la domanda di S. Francesco: “Quid animo satis?” Che cosa basta all’animo nostro? Che cosa lo soddisfa pienamente?

Un libro che, con il linguaggio di Instagram e la sensibilità del mondo di oggi, getta una luce di speranza in questi tempi così incerti e controversi, testimoniando il riaccadere della fede come riconoscimento di una presenza misteriosa nella concretezza di un’esistenza. In un percorso umano che è “l’inizio di un altro inizio”, dove nulla ci è tolto e tutto ci è restituito, come nella conclusione del libro, dove Elisa dice: “Ho sempre paura di morire, ho sempre paura di vivere. Anche se ora, forse, un po’ di meno”.

Perché in fondo, il Signore fa quello che vuole, come, quando vuole e con chi vuole. Grazie, Elisa. Non ti conosco – anche se dopo il tuo libro un po’ sì – ma mi piacerebbe molto incontrarti.