Elisa Montaldo è una di quelle belle realtà che si distingue in questo nostro oggi così indecifrabile e dispersivo dove tutto è ancora da scoprire, sorprendere e razionalizzare cercando un saldo punto di riferimento.  Compositrice e tastierista di indubbio talento, genovese ma essenzialmente anima raminga per necessità e per vicissitudini di vita, dopo anni contesi tra la leadership del gruppo progressive rock Tempio delle Clessidre (insieme a Fabio Gremo) e l’attività febbrile di pianobar woman negli hotel, approda al nuovo lavoro discografico “Fistful of Planets part II”.



Si tratta come immaginabile del sequel di un progetto avviato con la part I pubblicata nel 2015 e intervallata – oltre che dall’ultimo album del Tempio delle Clessidre – da una singolare collezione di brani intitolata “Dévoiler” targata 2020.  Il primo rappresenta l’inizio vero e proprio dell’avventura proseguita da questo nuovo album. Il secondo una raccolta di suggestioni sonore, versioni alternative e soprattutto canzoni di taglio romantico senza tempo scaturite dalla lunga esperienza del pianobar.



Impulso e direzione del progetto nelle parole della stessa Elisa rilasciate a margine della pubblicazione della parte I nel 2015.  “Queste canzoni sono nate in stanze d’albergo durante diverse stagioni lavorative in luoghi disparati. Man mano che il tempo passava sentivo di vivere come in un universo sconosciuto. Stando spesso da sola per giorni e notti durante lunghi mesi ho avuto modo di raccogliere nuove ispirazioni che hanno formato questa immaginaria “galassia”.”

Così mentre quel primo capitolo condensava in non più di venticinque minuti temi e frammenti che condividevano parte dei toni infuocati e marcatamente musicali del Tempio, qui la svolta e la dipartita dalle sonorità di riferimento si traduce in una espressione che ricarica codici e timbriche identificative della Montaldo in una visione artistica matura e personalizzata.



L’inizio prende il testimone dall’ultimo passaggio della parte I, creando una sorta di simbiosi sensoriale tra la voce del pionieristico robot che cantava su un nastro vecchio e consumato a conclusione del disco e Valse des Sirénes che apre la parte II con un’aura da canzone francese d’epoca, contribuendo a usurare definitivamente quel nastro.  Un po’ come un’esistenza stanca che attende di essere rianimata e riportata dal caos alla vita.

Il senso generale del lavoro ruota ancora sulla sintonia tra viaggi nei pianeti della galassia immaginaria e percorsi della mente, muovendosi tra differenti intenzioni e altezze musicali rese in maniera perlopiù velata e sotterranea.  Da ballate come Floating / Wasting Life e We Are Magic che qui appaiono più sussurrate, ad esternazioni di matrice etno-folk come Earth’s Call, alle pause e sospensioni di Haiku fino al trittico Feeling / Nothing / Into The Black Hole, l’umore è quello di un suono sommerso e minimale giocato prevalentemente di sponda.

Solo il finale offre una parziale revisione di questo processo di sottrazione sonora, con i colori caldi del cameo Wesak e quelli della bellissima aria Washing The Clouds.  In un pezzo che vede la dolcezza del canto della Montaldo spostare verso l’alto l’indicatore emozionale (ne esiste una versione alternativa più epica ed estesa nella citata raccolta Dévoiler”), esce intatto l’umore essenzialmente sospirato di un lavoro giocato sulle sfumature, grazie anche ai precisi e mirati contributi strumentali degli ospiti (Ignazio Serventi alla chitarra elettrica, David Keller al cello e il “regista” Mattias Olsson a vari strumenti),

Il disco finisce come era iniziato con una ripresa festosa, quasi felliniana di Valse des Sirénes seguita da un’esortazione finale a non sprecare la vita, come a chiudere idealmente il cerchio della storia.  Sarà veramente così? Aspettiamo Elisa alla prossima mossa.