L’8 settembre non sarà più solo una data nostra, e una data tragica, imbarazzante. L’8 settembre sarà per sempre ricordato per la scomparsa di una figura monumentale, l’emblema di un secolo, e amatissima, seguitissima in tutto il mondo. L’8 settembre, dopo il comprensibile dolore del popolo inglese, dopo lo sconcerto dell’abbandono e l’insediamento di un nuovo re per il Regno Unito, sarà per sempre una data gloriosa, la vera data di nascita al Cielo di Queen Elizabeth, dato che è cristiana, e capo della Chiesa d’Inghilterra (questo davvero ci pare strano e difficile da capire, e questo temo anche gli inglesi credano sempre meno).
Un personaggio pubblico, un capo di Stato, di più, uno statista. Ma anche una donna adorata dalla sua gente, che ha perdonato anche le mancanze e i gesti che non aveva capito e condiviso. 96 anni di vita, 70 di guida di un Paese che ha segnato la storia di un secolo, e grazie a lei è stato accompagnato, retto, attraverso le sue traversie, in tutto il secolo breve ed oltre, aprendo un nuovo millennio. Ha fatto la storia, e la storia la celebra e la celebrerà.
Forma, forse troppa forma nel complesso protocollo di Buckingham Palace per le esequie e il passaggio di consegne. Ma Betty, come la chiamavano i suoi sudditi, sono stati educati fin da piccoli al rigoroso rispetto, apprezzato e desiderato, della tradizione. E le lacrime, l’affollarsi ai cancelli delle residenze reali è il segno evidente di stima, affetto, riconoscenza. Nessuno si affretta all’omaggio per apparire, nessuno esibisce la pena della perdita. Sono sinceri, gli inglesi, tories e labour o indifferenti, nel ringraziare Elisabetta II. Che ha saputo essere un passo avanti e un passo indietro, che ha riconosciuto i suoi errori (non solo l’algido distacco per la morte della nuora, Diana, cui ha fatto ammenda con memorabile senso dello Stato e forse di rimorso). Retorica, nelle dichiarazioni dei potenti. Ma nessuno ha potuto e tantomeno può ergersi a suo pari. Nessun gigante le è stato al fianco, e se qualche comparsa ha segnato il tempo moderno, nessuno ha avuto la sua forza, la sua autorità e autorevolezza, la sua tempra perfino urticante e insieme la sua mite tenerezza. Solo Giovanni Paolo II.
Figlia e sorella di una famiglia che poteva essere quasi normale, catapultata al trono dopo una guerra terribile per la sua patria, che pure era vittoriosa, dalla decolonizzazione, dai moti d’Irlanda alla Brexit, dalla Guerra fredda al Covid ha resistito, ha saputo decidere, scegliere da che parte stare, e molto spesso dalla parte giusta.
Non è più epoca di favole, e di rimpianto per re e regine. Ci sono stati scandali pubblici e privati che l’avranno fatta arrossire e dispiacere e che arricchiscono gli autori di documentari, serie tv e volumi su volumi. Chi ama la regina Elisabetta dimentica perfino la sua piccina famiglia, e non crede alle fiabe. Ma riconosce la sua grandezza sul palcoscenico della storia, mentre sfoglia come i dagherrotipi le fotografie recenti del suo fare sbarazzino, mentre è alla guida della sua jeep, mentre sguinzaglia i suoi cagnolini con le galoches infangate, prende il tè con gli ospiti e scherza coi nipotini.
Si chiude il regno più lungo, e chissà se il seguito di questo pezzo d’Europa (è Europa, e dobbiamo essere grati a un paese cui dobbiamo democrazia e dispiego di energie per la democrazia) sarà ancora interessante o travolto solo più dai pettegolezzi. Ne cito uno: il nipote più amato e più distante, con la consorte che a molti pare arrivista e ingrata, guarda caso si trovavano in patria. Pronti a sfilare sulle passerelle più flashate del mondo. Guarda caso, o non è un caso, e Betty sarà felice di sperare, grazie proprio a lei, in una riconciliazione tra padre e fratelli. Chissà.
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