Caro direttore,
nei cinque giorni lavorativi di questa settimana, Elly Schlein è stata star mediatica assoluta attorno a tre fatti. Primo: la sua elezione a leader di quello che al voto del 25 settembre è stato il terzo partito italiano (elezione maturata attraverso primarie aperte, domenica scorsa, a chiunque passasse davanti a un gazebo del Pd).



Secondo: un intervento alla commissione parlamentare Affari costituzionali, nel quale la deputata Schlein ha chiesto le dimissioni del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi per la gestione del tragico sbarco di Crotone. Terzo: una visita a Crotone a stretto traino a quella (di per sé non indiscutibile sul piano istituzionale) del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, co-fondatore del Pd.



Alle cronache, dell’effetto-Schlein non è rimasto altro. Non un cronoprogramma di massima sul riassetto interno del partito, né riflessioni programmatiche minime sull’avvio di una vera opposizione parlamentare.

È zero commenti sulle hard news delle ultime ore, ineludibili per un “premier ombra”: gli avvisi di garanzia ai vertici del governo M5s-Pd sulla prima emergenza Covid; oppure l’escalation dei raid israeliani nei Territori palestinesi, che ha fatto sobbalzare perfino l’homepage del New York Times. Per non parlare della “notizia del giorno” da 372 giorni filati: la guerra in Ucraina. Cioè, anche, l’inflazione a due cifre e i rischi di recessione per 60 milioni di italiani e 4 milioni di loro imprese, profughi ucraini e immigrati compresi.



Nelle stesse cento ore la premier in carica Giorgia Meloni, che non ha certo bisogno di conforti o sostegni, tanto meno da un quotidiano come il Sussidiario – ha avuto molto meno spazio mediatico. Oppure lo ha avuto chi l’ha accusata di non aver detto o fatto ciò che ha detto o fatto la neosegretaria Pd (licenziare Piantedosi e andare a Crotone).

Pochissimo spazio (talora nullo) ha avuto una macro-notizia politico-economica che ha visto Meloni come protagonista: la decisione della Ue di rinviare la fissazione al 2035 per il passaggio definitivo all’auto elettrica in Europa.

Potrà aver deluso i fan “gretini” della transizione verde, ma ha sollevato perfino uno dei pigmalioni di Schlein, l’ex presidente dem della commissione Ue Romano Prodi,  ultimamente preoccupatissimo per le sorti, anche occupazionali, della componentistica auto made in Italy (a cominciare dalla Motor Valley emiliana: nella regione di cui i due candidati finali alla segreteria dem erano fino a settembre presidente e vicepresidente).

Ma è difficile che l’ex premier Prodi si complimenti con la premier di oggi: anche perché dovrebbe riconoscerle notevoli capacità diplomatiche, rodate dopo soli 120 giorni a Palazzo Chigi.

Sì, perché il rinvio di Bruxelles sull’auto elettrica (fortemente sollecitato dall’industria dell’auto tedesca) è stato nei fatti concordato un mese fa a Berlino durante il primo bilaterale fra Meloni e il cancelliere tedesco Scholz. Naturalmente non sono mancati media italiani che allora hanno parlato di summit “fallimentare”.

Resta invece il fatto che un momento decisionale di primo livello è stato condiviso fra Roma e Berlino (contro altre capitali Ue e la stessa Bruxelles) quando la Ue sta affrontando il nodo dei nodi per chiunque governi l’Italia oggi: la riscrittura dei parametri di Maastricht. Un cerchio di fuoco attraverso il quale l’Italia rischia nuovamente di non passare a causa dell’inerzia dei governi dem e per il buco disastroso del superbonus, deciso dal Conte 2 poco dopo le disastrose decisioni sulla zona rossa anti-Covid.

Ora dovrebbe seguire qui la registrazione del viaggio di Stato della premier in India, con tutti i suoi risultati: gli accordi bilaterali preziosi per l’Azienda-Italia e il mantenimento a Roma di un ruolo nel difficilissimo ridisegno degli equilibri geopolitici. Ma forse a questo punto gli elettori di Schlein ricomincerebbero a gridare alla “propaganda fascista”.

Ritornerebbero alla campagna puramente mediatica che consentì a Bonaccini e Schlein di barricarsi ancora nel “ridotto di Bologna”. Ma dopo tre anni lì sembrano rimasti: a un duello-Ztl, a un girotondo di “sardine”.

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