Tra le tracce della Maturità della prima prova scritta di italiano c’è un brano tratto da “L’elogio dell’imperfezione“, opera autobiografica di Rita Levi Montalcini da cui è stato tratto un documentario omonimo diretto da Virgilio Tosi. L’opera è un bilancio della scienziata, che lega il progresso al riconoscimento degli errori: non si tratta solo di ammettere di aver sbagliato, dimostrando peraltro la propria maturità, ma di riconoscere che l’imperfezione è alla base dell’evoluzione, è una tappa da cui non si può prescindere per arrivare al proprio obiettivo.



L’imperfezione, che fa parte della natura umana e la caratterizza, merita per Rita Levi Montalcini un elogio, ma nell’opera trovano spazio le sue scoperte e gli studi, come quelli che le hanno consentito di ricevere il Premio Nobel della Medicina. L’opera scelta per l’Esame di Stato è suddivisa in quattro capitoli: il primo contiene i ricordi dell’infanzia e della giovinezza, il secondo rievoca gli anni della Seconda guerra mondiale e la sua battaglia per studiare, poi il trasferimento all’estero, con l’esperienza in Usa al centro del terzo capitolo, che è la parte più complessa per chi non condivide le competenze dell’autrice, mentre nel quarto e ultimo capitolo non ci sono gli ultimi anni di Rita Levi Montalcini, ma il ritorno in Italia.



L’IMPERFEZIONE ALLA BASE DELLE GRANDI SCOPERTE

Dalla lettura del libro “L’elogio dell’imperfezione” si evince la figura autoritaria del padre di Rita Levi Montalcini, cui impone una rigida educazione e un’impostazione laica alla vita, tanto che la scienziata si definì subito una “libera pensatrice”, d’altra parte dall’opera emergono anche gli scontri con il padre per le sue ambizioni e la volontà di portare avanti gli studi scientifici, sullo sfondo dell’antisemitismo che si diffondeva all’epoca. Ma nell’opera racconta anche di un ragazzo che voleva sposarla, progetto poi naufragato perché Rita Levi Montalcini era ebrea e la legge vietava matrimoni con ebrei.



L’elogio dell’imperfezione traspare anche dal capitolo più complesso, quello in cui ripercorre tutte le fasi che hanno poi portato alla scoperta del fattore di crescita neuronale (Nerve Growth Factor) per il quale la scienziata ha vinto il Premio Nobel: ricorda, infatti, la tenacia nell’inseguire le sue intuizioni, nonostante gli iniziali fallimenti. Peraltro, il suo oggetto di studio è stato il cervello, meraviglioso e al tempo stesso imperfetto, nella consapevolezza che appunto l’imperfezione è inevitabile ma non per questo deve fermare il percorso che ci si prefigge.