Elon Musk, in occasione dell’assemblea annuale degli azionisti Tesla che si è tenuta ad Austin in Texas, ha rilasciato una lunga intervista in esclusiva all‘emittente Cnbs, nella quale ha parlato delle sue prossime intezioni con Twitter, della sua visione dei social networks, e di finanza internazionale, spaziando anche alla geopolitica. Ma soprattutto Musk si è concentrato a difendersi dalle accuse di essere un divulgatore di teorie cospirazioniste, rivendicando un diritto assoluto di parola, perchè, dice, “Io posso dire ciò che voglio, e lo dirò sempre, anche se fino ad ora mi è costato molti soldi“, riferendosi anche all’ultimo caos provocato da un suo tweet nel quale ha riversato parole di odio nei confronti di Soros, paragonandolo a Magneto, il cattivo dei fumetti e scrivendo che “Odia l’umanità“. Tutto ciò perchè Soros aveva dichiarato la vendita delle azioni Tesla.
Ma questo ovviamente è solo l’ultimo episodio, il più recente, perchè Elon Musk ha come abitudine pubblicare pensieri e considerazioni, che spesso sono stati giudicati ai limiti del complottismo, inoltre sono state più volte messe sotto accuse le regole poco rigide del nuovo Twitter, che per andare contro la censura dei social criticata da Musk, hanno lasciato ampio spazio a post e contenuti anche di stampo razzista o pedopornografico senza alcun controllo.
Elon Musk “Mie teorie ‘complottiste’ erano vere”
Durante l’intervista alla Cnbc, Elon Musk fa alcune considerazioni proprio sulle teorie dei cospirazionisti, dicendo di battersi contro la disinformazione, e quando gli viene chiesto se è vero che ci sono interessi da parte sua nell’alimentare certe tesi dice “In realtà molte di queste si sono rivelate vere“, e prosegue “Ad esempio mi riferisco al caso del laptop di Hunter Biden“.
In quel caso Musk aveva anticipato lo scoop, che alcuni giornalisti fecero nel rivelare presunti affari loschi del figlio del presidente a partire proprio da un computer portatile nel quale vennro trovate foto e documenti molto compromettenti. Alcune delle email segrete furono pubblicate dal New York Post, ma il caso venne subito insabbiato indicandolo come fake news. Successivamente però fu lo stesso Hunter Biden a dover ammettere, dopo una lunga inchiesta, che in effetti quel computer apparteneva a lui e che era effettivamente stato dimenticato in un negozio.