Un investigatore di primo livello, ora in pensione, che per quasi venti anni ha seguito il caso della scomparsa di Emanuela Orlandi, spiega perché la pista che porta allo zio Mario Meneguzzi tramontò presto. «Ci attivammo, su nostra iniziativa autonoma, fin dalle primissime ore. Ci colpì quel suo attivismo eccessivo, i modi di fare di chi sembrava sicuro di essere più importante di un semplice zio di Emanuela Orlandi. Poi però chiarimmo tutto e capimmo anche il perché si comportasse così. Con la sparizione della nipote non ha nulla che fare», dichiara al Corriere della Sera. La pista dello zio nacque da un tentato approccio dell’uomo con un’altra nipote, Natalina, sorella maggiore di Emanuela Orlandi. Ma quel sospetto fu respinto proprio da Natalina, poi furono le indagini a non trovare riscontri.



A tal proposito, precisa che la procura non trasmise il verbale dell’interrogatorio in cui Natalina parlò di quelle molestie, né informarono loro monsignor Casaroli della confessione resa al padre spirituale. «Come dicevo, saltava all’occhio il suo darsi così da fare, il tenere i contatti con l’esterno e con i presunti rapitori. Lo seguimmo, ispezionammo anche casa sua, ma la pista tramontò presto». Peraltro, Pietro e Natalina Orlandi sostengono che lo zio fosse fuori Roma il giorno in cui è scomparsa Emanuela Orlandi, tanto che loro padre lo contattò al telefono per chiedergli di tornare a Roma ad aiutarlo. «Se lo abbiamo riscontrato? Nello specifico non ricordo, ma forse non ce ne fu neanche bisogno per gli elementi che avevamo già raccolto. Meneguzzi fece quello che era giusto fare, data la sua posizione».



“ZIO DI EMANUELA ORLANDI AVEVA CONOSCENZE…”

Il riferimento del poliziotto è al fatto che Mario Meneguzzi lavorasse al bar della Camera e aveva amici nei servizi segreti. «Era normale che anche la famiglia lo investisse del ruolo di risolutore di quella situazione così drammatica. Aveva conoscenze, amicizie, poteva bussare a porte che alla famiglia sarebbero state invece precluse. Ripeto, si rivelò al di sopra di ogni sospetto», ribadisce l’investigatore in pensione al Corriere della Sera. Riguardo i rapporti telefonici che teneva con i presunti rapitori: «Anche questo credo rientrasse nella normalità di quella situazione. O vogliamo pensare che tenesse dall’interno le fila dei rapitori, che gestisse da solo tutta la rete di persone coinvolte?».



Comunque, non chiesero aiuto o collaborazione nell’inchiesta: «No, ma sapevamo che poteva rivelarsi utile data la piega che prese il caso». In questo caso, il riferimento è ai presunti o possibili intrighi internazionali: «Sì, tutto va rapportato al clima dell’epoca. Pensi al presunto coinvolgimento di Alì Agca. A noi era chiaro fin da subito che fosse una bufala, una pista rilanciata da qualcuno che aveva interesse a confondere le acque. Però d’altro canto era impossibile tralasciarla e ci ha fatto perdere un sacco di tempo».

“PROBABILE CASO DI PEDOFILIA NEL VATICANO…”

L’ex poliziotto si sofferma anche sulla vicinanza di Mario Meneguzzi, zio di Emanuela Orlandi, all’avvocato Egidio, altra figura molto discussa, vicina ai servizi segreti. «Diciamo che forse la professione legale non era la sua attività principale. Ufficialmente gestiva un centro di studi internazionali, era console onorario dell’Oman», spiega l’investigatore in pensione al Corriere. Inoltre, ritiene che potrebbe avere ragione Pietro Orlandi, secondo cui sarebbe emerso un aspetto dell’indagine, un depistaggio per salvare il Vaticano dalle sue responsabilità.

«Che forse ha ragione, anche se l’ipotesi del coinvolgimento di una persona vicina a Emanuela può avere una sua logica. Pietro fa bene a invocare la commissione parlamentare, ma non credo che questa porterà a risultati concreti». Infine, l’ex poliziotto esprime l’idea che si è fatto sul caso Emanuela Orlandi: «Tra tutte le tantissime piste prese in considerazione e seguite, la più probabile, anche se non dimostrata, resta quella di una sovrapposizione tra un caso di pedofilia interna al Vaticano e un inserimento di soggetti esterni che hanno provato a usare il caso a loro vantaggio. Penso alla banda della Magliana e al tentativo di riavere somme di denaro dal cardinale Marcinkus. Qualcosa di simile a quanto accaduto con Calvi».