Nelle ore in cui l’iter per la commissione parlamentare d’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi si fa materia sempre più rovente sul tavolo di politica e stampa, in costanza delle polemiche montate sulla notizia della sospensione del voto per l’istituzione della bicamerale, il fratello Pietro Orlandi ha parlato ai microfoni della trasmissione DiMartedì, condotta su La7 da Giovanni Floris, introducendo alcune rivelazioni nel suo rinnovato appello alla verità sulla sparizione della sorella. Il fratello di Emanuela Orlandi, scomparsa il 22 giugno 1983 a Roma e al centro di un cold case lungo decenni, ha sottolineato quello che, a suo avviso, sarebbe uno dei primi passi da fare in commissione d’inchiesta.
“Intanto – ha esordito Pietro Orlandi – potrebbe ascoltare quei magistrati che si sono occupati della fine dell’inchiesta, secondo me uno dei fatti più gravi. Uno di loro, dottor Capaldo, pochi anni fa ha avuto un incontro con due rappresentanti dello Stato Vaticano. Erano il comandante della Gendarmeriavaticana e il suo vice, in rappresentanza dell’entourage di Ratzinger. In quel momento si parlava della sepoltura di De Pedis (Enrico “Renatino” De Pedis, boss della Magliana, ndr). Il Vaticano voleva che la magistratura togliesse De Pedis da Sant’Apollinare perché imbarazzava la Chiesa. Capaldo chiese in cambio un aiuto per la questione di Emanuela. E alla fine di questi incontri, Capaldo chiese, se Emanuela è morta, la restituzione del corpo. La risposta non è stata ‘Come si permette?‘, la risposta è stata ‘Va bene, purché la Procura imbastisca una storia verosimile che tolga qualunque responsabilità da parte del Vaticano‘. Poi è intervenuto il nuovo capo della Procura di Roma, Pignatone, che si era appena insediato, e ha tolto l’inchiesta a Capaldo e ha archiviato tutto e Papa Francesco, appena finito il mandato, lo ha proposto come presidente del Tribunale Vaticano”.
Pignatone: “Mai ostacolato le indagini su Emanuela Orlandi”
A stretto giro è arrivata la replica dell’ex procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, che all’Ansa ha sottolineato la sua posizione in merito a quanto fatto per arrivare alla verità sul caso di Emanuela Orlandi. “Io non ho mai ostacolato in alcun modo nessuna attività di indagine disposta dal dottor Capaldo o dalle altre colleghe – ha affermato -. Non ho mai avocato il procedimento relativo alla scomparsa di Emanuela Orlandi. Dopo il mio arrivo da procuratore a Roma, il dottor Capaldo ha continuato per oltre tre anni a dirigere le indagini sulla scomparsa della Orlandi, sentendo personalmente testimoni e indagati, disponendo intercettazioni e attività di polizia giudiziaria e nominando consulenti“.
Sempre Pignatone ha puntualizzato che lo stesso Capaldo “ha anche disposto e coordinato, intervenendo sul posto, le attività per la rimozione della salma di Enrico De Pedis dalla tomba nella Basilica di Sant’Apollinare e i successivi scavi nella cripta che hanno portato al rinvenimento di alcuni scheletri e di numerosissimi frammenti ossei non riconducibili però alla Orlandi“. Per quanto riguarda l’archiviazione dell’inchiesta intervenuta in via definitiva nel 2016, Pignatone ha sottolineato che l’istanza “è stata decisa a maggioranza, al momento della scadenza dei termini delle indagini, tra i colleghi titolari del procedimento. Io ho condiviso e ‘vistato’, quale Capo dell’Ufficio, tale richiesta, mentre Capaldo, che non era d’accordo, ha rifiutato di firmarla e ha quindi chiesto il 27 aprile 2015 che, secondo quanto previsto dalle Circolari del Csm in materia, gli venisse revocata l’assegnazione del procedimento“. L’archiviazione fu chiesta il 5 maggio 2015, e i familiari di Emanuela Orlandi avevano presentato opposizione. Accolta dal gip il 19 ottobre dello stesso anno, fu confermata definitivamente in Cassazione nel 2016.