C’è un nuovo giallo dietro la scomparsa di Emanuela Orlandi, tra i dubbi dei pm e una lettera ignorata. Ne parla Il Tempo, facendo riferimento a una lettera riservata di un magistrato in cui sono riportate le ragioni della mancata firma della richiesta di archiviazione sul caso. Al centro della comunicazione inviata dall’aggiunto Giancarlo Capaldo a Giuseppe Pignatone, che all’epoca era procuratore capo, c’era Marco Accetti, il cui legale nei giorni ha depositato la lettera alla procura di Roma.



In virtù della perizia fonica rivelata dal giornalista Fabrizio Peronaci sul Corriere, da cui si evince che la voce di Accetti e dell’americano che telefonò alla famiglia Orlandi coincidono, quindi sarebbero la stessa persona, la lettera è un particolare importante. Peraltro, Accetti era a conoscenza di particolari sconosciuti all’epoca anche agli inquirenti, come il fatto che Emanuela Orlandi al momento del sequestro aveva le mestruazioni. Inoltre, nell’archiviazione l’aggiunto riferiva che non sono stati tenuti in considerazione «inquietanti riscontri» alle dichiarazioni di Accetti su Emanuela Orlandi e su Mirella Gregori, sparita un mese prima.



LA LETTERA IGNORATA E I DUBBI DEI PM

Marco Accetti si era autoaccusato del sequestro di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, inoltre nell’archiviazione si cita anche il particolare dei vestiti indossati dalla Gregori, che erano stati descritti dettagliatamente, oltre alla perizia fonica da cui emerge la compatibilità tra la voce del telefonista, l’Americano, e quella di Accetti, citando pure il flauto consegnato da un fotografo che sosteneva fosse quello della Orlandi, la cui famiglia riconobbe e giudicò identico.

Capaldo, come ricostruito dal Tempo, faceva riferimento ad alcuni comunicati, come le richieste di scambio di Emanuela Orlandi con l’attentatore del papa, Alì Agca, che provenivano da Boston, negli Stati Uniti, dove viveva all’epoca la moglie di Accetti. Tutti indizi che assumono una nuova luce, anche in virtù di quanto emerso sulla perizia sulla voce dell’Americano, che ad Agostino Casaroli, allora segretario di Stato, consegnò lo spartito di Emanuela Orlandi per dimostrare la veridicità delle informazioni sul sequestro della ragazza.