Un documento potrebbe cambiare tutto sul caso Emanuela Orlandi. Se autentico, potrebbe distruggere la versione che Natalina Orlandi ha fornito in merito alle avances dello zio Mario Meneguzzi cinque anni prima della scomparsa della sorella. A parlarne è il giornalista Pino Nicotri su Blitz Quotidiano. Gli inquirenti, tornati a indagare sulla scomparsa della cittadina vaticana, stanno cercando di trovare originale e allegati di un documento di cui si parla da giorni. Sulle carte è riportato che il primo a riferire direttamente ai carabinieri, e in via confidenziale, delle avances sarebbe stato Andrea Ferrari, fidanzato di Natalina poi diventato suo marito, il 30 agosto 1983. Come emerso e accertato, la magistratura italiana si rivolse all’allora Segretario di Stato vaticano Agostino Casaroli per sapere se erano vere le voci riguardanti le molestie. In seguito a tale input, Casaroli, usando un codice cifrato segreto per la delicatezza della questione, girò le domande al sacerdote che nel 1978 era il confessore e consigliere spirituale di Natalina e della famiglia Orlandi.



Perché è importante verificare l’autenticità del documento e, quindi, se il primo a parlare alla magistratura italiana di Mario Meneguzzi è stato lo stesso fidanzato di Natalina? In primis, verrebbe smentito quanto sostenuto da Pietro Orlandi, cioè che i magistrati avrebbero fatto pedinare lo zio solo perché temevano potesse consegnare di persona ai “rapitori” di Emanuela Orlandi i soldi dell’eventuale riscatto o che potesse essere avvicinato per discutere delle condizioni per il rilascio. Peraltro, Mario Meneguzzi si rese conto di essere pedinato, circostanza che gli venne confermata dall’amico Giulio Gangi, poliziotto appena entrato nei servizi segreti SISDE. Così andò in fumo il lavoro dei magistrati e la possibilità di ulteriori controlli sull’uomo.



IL VATICANO HA “PROTETTO” LA FAMIGLIA ORLANDI?

Il giornalista Pino Nicotri su Blitz Quotidiano evidenzia che il carteggio tra il magistrato Domenico Sica, l’allora Segretario di Stato vaticano Agostino Casaroli e monisognor José Luis Serna Alzate non risulta trasmesso dal primo ai successori nell’inchiesta, quindi ai magistrati Ilario Martella, Giovanni Malerba e Adele Rando. Nicotri si chiede, quindi, il motivo per il quale il magistrato lo abbia trattenuto o fatto sparire. Forse per discrezione, per proteggere l’immagina della famiglia Orlandi, visto che il padre Ercole era pur sempre il postino del Papa e con la sua famiglia abitava all’interno del Vaticano. Quel carteggio non è stato neppure inserito dal Vaticano tra le carte consegnate alle autorità italiane quando ha risposto alle rogatorie, quindi è stato trattenuto nella Segreteria di Stato.



La discrezione potrebbe essere lo stesso motivo per il quale a Raul Bonarelli, sovrastante della Vigilanza Vaticana (poi confluita nella Gendarmeria), il giorno prima dell’interrogatorio come testimone, il 13 ottobre 1993, ebbe dal Vaticano una telefonata con cui gli veniva chiesto di non riferire “che le cose della faccenda Orlandi sono andate alla Segreteria di Stato“. Per questo forse monsignor Giovanni Battista Re, assessore della Segreteria di Stato, avrebbe detto che avrebbe “lasciato le cose così come si trovavano” a monsignor Savero Salerno, quando questi gli propose di scandagliare le proprie vaste conoscenze, anche in campo finanziario, per cercare di capire cosa potesse essere successo a Emanuela Orlandi. Visto che Pietro Orlandi ha sempre preteso la verifica di tutte le piste e le voci, per il giornalista Nicotri “sarà quindi sicuramente felice che gli inquirenti cerchino di vederci chiaro anche in quest’ultima ‘chiacchiera’ del rapporto giudiziario dei carabinieri“.