A volte ritornano. In un mondo musicale che oggi è sempre più prefabbricato su modelli costruiti a tavolino, dove melodia e voce sono diventati particolari trascurabili, c’è ancora qualcuno che non solo sa cantare, e bene, ma scrive anche belle canzoni. E’ la nostra storia in fondo, quella dell’autentica canzone italiana. Emanuele Dabbono la incarna pienamente. Il suo nuovo disco a quattro anni di distanza dall’ultimo lavoro, Buona strada, uscito in questi giorni, lo dimostra pienamente.



Una serie di ottime canzoni che spaziano in un ampio spettro musicale, dalla canzone pop alla ballata rock, dal blues al folk magistralmente interpretate sono qualcosa di ormai raro e ci riconciliano con la buona musica. Una lunga carriera alle spalle  cominciata nel 1997 al festival di Castrocaro vincendo il premio della critica con Ciao bambino per la miglior canzone originale proseguita con tanti progetti (anche due album in inglese pubblicati anche in America), diversi dischi con il gruppo Terrarossa e poi l’incontro con Tiziano Ferro che apre un nuovo percorso artistico: diversi i brani scritti insieme che hanno avuto un successo enorme, come Incanto, Il Conforto e Valore assoluto. Emanuele è anche autore di un romanzo (Genova di spalle) e di una raccolta di poesie (Musica per lottatori). Abbiamo parlato con lui.



Il disco si apre con un incantevole brano a cappella, dove hai sovra inciso la tua voce, Le chiavi all’ingresso. Dal titolo e dall’uso della voce si intuisce che sia una sorta di dichiarazione di intenti per il successivo ascolto, un disco dove la voce svolge il ruolo più importante. E’ così?

In realtà è l’ultimo brano che ho registrato per il disco. In molti mi dicono che io metto “la voce al centro” delle mie canzoni ed è una definizione che mi fa piacere. Spesso mi sono reso conto che tanti miei colleghi, penso soprattutto ai cantautori storici, quando avevano dei testi di grande impatto, dedicavano meno attenzione alla musica. Questo con l’eccezione di Lucio Dalla, un artista straordinario che scriveva parole di grande spessore ma anche musica di livello enorme. Così questo brano vuole dire quanto per me la musica è importante come le parole. L’ho registrato a casa, c’è dentro anche mia figlia.



Il disco esprime tanti approcci musicali: qual è il genere con cui ti trovi più a tuo agio?

Vivo la musica in modo sfaccettato. Se è vero che ognuno ha un suo genere musicale preferito, in cui sente di dare il meglio, io faccio riferimento a quei grand artisti internazionali come Prince capaci di mettere in un album di tutto, dal funk al gospel al rock alla dance. Spesso in Italia invece senti un disco e ci trovi dieci canzoni tutte uguali, anche con gli stessi accordi. Un artista che ha osato tanto con diverse proposte musicali nello stesso disco è invece Daniele Silvestri.

Via della pietà, la canzone che chiude il disco, ha una atmosfera e un testo particolare, come è nata?

Da un paio di anni Gian Piero Alloisio, che mi onora con la sua amicizia (cantautore e drammaturgo, fra i tanti ha collaborato anche con Giorgio Gaber, nda), mi invita alla Giornata della memoria a esibirmi con altri artisti. Così ho pensato che se dovrò andarci un’altra volta, cosa che io spero, canterò una canzone scritta appositamente. Ho composto Via della pietà pensando a quell’evento, a quella atmosfera anche se non è una canzone che si riferisce a una guerra soltanto perché le guerre si vivono anche nel quotidiano, nascosti a tutti. Ho preso ispirazione un po’ da Desolazione row di Bob Dylan e da La mia cattiva strada di Fabrizio De André.

Nel disco c’è poi Cerezo, una canzone molto particolare che credo tu abbia scritto più per tuo padre che per l’ex calciatore brasiliano, è così?

Esatto. Cerezo è una lettera a mio padre. Nelle storie familiari ci sono situazioni in cui non si riesce a comunicare, magari per mancanza di coraggio. Credo che con mio padre ci fosse un gap generazionale, quelli della sua generazione non erano portati a esprimere i propri sentimenti, così lui mi abbracciava solo quando segnava la Sampdoria. Qualcuno mi ha chiesto perché non ho usato per la canzone personaggi più famosi come Vialli o Mancini, ma per me Cerezo rappresenta quel mondo di outsider da cui provengo. Era un gregario che però grazie al suo lavoro nascosto faceva segnare gli altri.

Hai scritto molto insieme a Tiziano Ferro: cosa ti ha dato lui e cosa pensi di aver dato tu a lui?

In lui ho trovato un porto sicuro. Prima di incontrarlo non ero certo di poter fare l’autore musicale, era una domanda che non mi ero neanche posto mai. Lui mi ha dato fiducia in me stesso. Io credo di aver dato a lui un po’ di voglia di rischiare. Penso al primo brano scritto insieme, Incanto, in cui ho azzardato atmosfere irish folk. Ero spaventato, m dicevo: uccideranno lui e me. Invece è stato ed è ancora un grande successo.

Nel 2008 hai preso parte alla prima edizione di X Factor classificandoti terzo: che ricordo ne hai?

Ci andai con totale incoscienza. Non sapevamo nulla di che programma sarebbe stato, era la prima edizione. Pensavo: bene potrò far conoscere le mie canzoni. Invece scoprì che dovevo fare cover e che per fare una mia canzone dovevo arrivare in finale, cosa che sono riuscito a fare. Resta oggi un po’ un marchio dispregiativo, molti giornalisti dicono, ah sì sei bravo, però hai preso parte a X Factor… Non importa, io vado avanti.

(Paolo Vites)