Emanuele Di Porto, ebreo romano, a 12 anni è scampato al rastrellamento del Ghetto del 16 ottobre 1943 ad opera dei nazisti. Ne racconta i dettagli nello studio di Oggi è un altro giorno, su Rai 1. Emanuele, oggi 92enne, ha raccontato la sua storia in un libro, Un tram per la vita, perché è stato proprio un tram a nasconderlo dai nazisti.



Emanuele rivela però che è stata sua madre a salvargli la vita: “Vivo ancora nella stessa casa dove avvenne il rastrellamento del 1943. – e continua – Presero mia mamma, io piangevo, scesi perché la volevo salvare, lì c’era un soldato tedesco che prese anche me. Mia mamma però riuscì a farmi scendere dal camion: urlava in tedesco che io non ero ebreo. Lei fu portata ai campi di sterminio, non è tornata mai più”. (Aggiornamento di Anna Montesano)



Emanuele Di Porto, chi è

Emanuele Di Porto sarà ospite di Serena Bortone nella puntata di oggi, giovedì 26 gennaio, di Oggi è un altro giorno. Nato a Roma nel 1931, nel cuore del ghetto, Emanuele cresce in via della Reginella in una casa molto affollata: con i genitori – Virginia Piazza e Settimio Di Porto – vivevano i sei figli, le due zie e i cugini, ogni famiglia in una stanza.

Emanuele, ebreo romano, a 13 anni è scampato al rastrellamento del Ghetto del 16 ottobre 1943 a opera della Gestapo. Quando scatta il rastrellamento, il padre Settimio è già al lavoro mentre la madre Virginia viene caricata su un camion. Emanuele insegue la madre, viene caricato anche lui a bordo del camion, ma Virginia riesce a far scendere il figlio.

Emanuele Di Porto salvato dai tranvieri

Emanuele Di Porto arriva in piazza Monte Savello, dove all’epoca c’era il capolinea del tram, e si rifugia su un tram fermo. Il bigliettaio e l’autista lo nascondono tra i sedili e condividono con lui il loro cibo, poi a fine turno raccomandano il bambino ai loro colleghi. Così per due giorni Emanuele rimane nascosto sul tram e si salva. “Istintivamente volevo salvarmi e sul tram mi sono sentito subito al sicuro, grazie al bigliettaio e all’autista. I tranvieri mi hanno davvero aiutato, nonostante stessero rischiando molto. Li sentivo dire: “Aho’, guarda ‘sto ragazzino, daje ‘na mano, è ebreo”, ha detto Emanuele sulla pagina Facebook dell’Atac. Pochi giorni dopo si riunisce al padre Settimio, nascosto da un cugino a Borgo Pio.