C’è una memoria personale in questo breve ricordo di Emanuele Macaluso. Quando assunse la direzione de Il Riformista, dal 1 maggio 2011 fino alla chiusura del giornale, avvenuta nemmeno un anno dopo, il 30 marzo 2012, disse che sarebbe stato contento che potessi diventare un collaboratore del giornale. Alla fine, con i “chiari di luna” che già si vedevano nell’economia e nell’editoria italiana soprattutto, non se ne fece nulla. Ma restai impressionato dalla precisione con cui riassumeva le mie giovanili esperienze politiche e poi la mia carriera giornalistica.



Emanuele Macaluso era un personaggio storico, con cui ci si confrontava e con cui era difficile mentire o nascondere qualche cosa. Per diverso tempo ci sentimmo al telefono e, lui, già carico di onori e di anni, aveva ancora una lucidità straordinaria nel fotografare le situazioni politiche. Le sue scelte potevano essere state discutibili, ma veniva da una grande scuola, da una vita politica vissuta con una intensità che oggi non è nemmeno più immaginabile.



Mentre Matteo Renzi era segretario del Partito democratico e viaggiava in un clima di entusiasmo sopra le righe, con in tasca un 40 per cento di voti, Macaluso bollò in questo modo lo scalpitante leader: “Vuoi sapere quello che penso? Ricordati: per me è un avventuriero”.

Alla luce del “movimentismo” renziano degli anni successivi, quella frase mi è sempre rimasta impressa nella mente, perché sembrava un’eresia in quel periodo. Ma la lucidità discendeva da una vita dedicata alla politica, quindi alla conoscenza della storia, delle idee, degli uomini con le loro virtù e con le loro debolezze. Inoltre, Macaluso aveva spaziato in vasti settori della vita politica. Si iscrisse al Partito comunista, da clandestino ovviamente, in periodo fascista, a 17 anni, nel 1941, ma subito si inserì e partecipò alle battaglie che caratterizzavano la Sicilia, dove era nato: come militante, come sindacalista e come giornalista.



Poi la lunga scalata di chi allora apparteneva alla classe dirigente di un partito e anche di un Paese. Di certo, Macaluso non ha mai contestato Togliatti  e il togliattismo. E questo ci divideva nelle nostre discussioni.

Diventato prima segretario del Pci siciliano, carica che poi lasciò a Pio La Torre, nel 1963 entrò nella segreteria nazionale con Togliatti e ci restò con Luigi Longo e infine con Enrico Berlinguer. Fece parte anche dell’ufficio politico del Pci. E, proprio in quel periodo, diresse la sezione di organizzazione dei comunisti, la stampa e la propaganda e in un secondo momento la sezione meridionale. Nello stesso anno, il 1963, cominciò la sua lunga carriera parlamentare prima alla Camera del deputati, fino al 1976, poi al Senato, dove fu eletto per tre volte nel 1979, nel 1983 e nel 1987.

Quindi, inevitabilmente, anche Macaluso vide infrangersi con la Caduta del Muro di Berlino i sogni giovanili, l’entusiasmo ideologico e la militanza di quasi mezzo secolo di un sogno che era andato in frantumi, quello che François Furet ha bollato in un libro famoso, Il passato di un’illusione. Proprio nel 1989, Macaluso condivise la cosiddetta svolta della Bolognina e nel 1991 aderì al Pds e poi ai Ds.  La sua esperienza parlamentare si concluse nel 1992, praticamente quando la “prima repubblica” dovette andare in pensione per l’iniziativa soprattutto delle procure della Repubblica.

Ma nella vasta gamma delle posizioni comuniste come si collocava Emanuele Macaluso? Abbiamo detto che era stato un togliattiano e forse lo fu per sempre. Ma allo stesso tempo lui, che non amava farsi chiamare riformista, apparteneva di fatto ai “miglioristi”, aperti verso i socialisti, molto vicino a Giorgio Napolitano, senza spingersi troppo fino alle posizioni di Giorgio Amendola, perché quelle per il Pci di tutti i tempi erano un’eresia troppo grossa.

Tuttavia nei suoi articoli degli anni Duemila ha sempre sostenuto la necessità per l’Italia di una moderna forza laica della sinistra legata ai valori del socialismo europeo. Proprio in quegli anni criticava il Partito democratico, nato nel 2007,  per la mancanza dell’ispirazione socialista nell’identità del partito. Forse anche lui rimpiangeva la mancata unità delle sinistre collocate, magari fin dal 1964, nell’ambito della socialdemocrazia europea e dell’Internazionale socialista.

Comunque sia andata, per il suo impegno, per la sua passione, per la sua grande militanza in un contesto politico reale, non demenziale come quello attuale, Macaluso, morto a 96 anni, magari con un libro da leggere sulla scrivania, va ricordato con onore e, personalmente, con affetto.

Bettino Craxi, che non fu mai tenero con i comunisti, nell’ultima intervista ad Hammamet ha ricordato l’amicizia che esisteva da sempre tra Macaluso e Rino Formica, che nel 2013 recensì positivamente il suo volume Togliatti e la via italiana al socialismo, riferito alla “terza via” socialdemocratica del Pci.