Pensavamo che la chimera, leggendario mostro della mitologia greca, fosse stata uccisa da Bellerofonte, come Omero descrive nell’Iliade. Invece eccola ricomparire con una fisionomia che non ha nulla di leggenda.
Come anche riferito dalle agenzie di stampa, la pubblicazione sulla rivista Cell del 15 aprile (Cell, 184, 2020-2021) ha divulgato i risultati di una sperimentazione per creare embrioni chimera uomo-scimmia, un organismo fatto da popolazioni cellulari geneticamente differenti e distinte perché originate da due diversi zigoti.
Da tempo nel filone degli studi di embriogenesi sono in atto sperimentazioni che hanno posto gravi domande etiche a causa dei metodi usati (come nuclear transfer e clonazione). Solo per ricordarne due: nel 1996 si è fatta nascere la pecora Dolly, clonata con una procedura che ha utilizzato ben 277 embrioni; nel 2018 la nascita in Cina di due esemplari di “Macacus fascicularis” ai quali furono dati i nomi di “Nazione” e “Popolo”. Per questi sono stati necessari circa 300 embrioni, 21 madri surrogate e 6 gravidanze!
L’importante scoperta delle cosiddette cellule pluripotenti indotte (iPSCs) ottenute riprogrammando cellule adulte (che ha valso nel 2012 il Nobel a Gurdon e Yamanaka) ha aperto ulteriori orizzonti, tra i quali la possibilità di integrare queste cellule pluripotenti umane per ottenere chimere.
Il lavoro pubblicato dalla rivista Cell presenta il primo risultato che ha permesso di ottenere una chimera di 20 giorni trasferendo cellule staminali pluripotenti umane all’interno di embrioni di scimmia. Secondo i ricercatori queste chimere sono importanti per studiare lo sviluppo embrionale umano, l’origine di patologie umane con difetti genetici, ottenere modelli per sperimentare terapie e farmaci e per generare cellule e organi da trapiantare.
A fronte di queste prospettive di utilizzo sono evidenti i gravi limiti e la scarsa efficienza di questa tecnologia che, per ottenere tre chimere, ha dovuto infatti impiegare ben 132 embrioni.
Tuttavia, al di là degli aspetti tecnici, suscita forte perplessità l’ipotesi dei ricercatori che, con questa tecnologia, sperano di aggirare il limite dei 14 giorni imposti dalle norme etiche per la ricerca sugli embrioni umani, finora accettato dalla maggior parte degli studiosi. Anche se gli autori dichiarano la loro volontà di seguire tutte le linee guida etiche, legali e sociali, questa ipotesi apre, invece, molti inquietanti e gravi interrogativi.
Perfino lo stesso editore di Cell ha voluto commentare la pubblicazione con un editoriale, indicando alcune criticità di natura etica. La cosa sorprendente è che la prima di queste criticità di natura etica sottolineata sia relativa al benessere animale.
Infatti l’editore si chiede se sia etico l’uso di animali senzienti come le scimmie per questi studi che prevedono una serie di interventi su questi primati per ottenere gli ovuli da fecondare. Solo in second’ordine l’editore segnala la carenza di informazioni sull’origine delle cellule umane (iPSCs), ponendo come unico problema quello del consenso da parte del donatore. L’editore esprime anche preoccupazioni per possibili reazioni dell’opinione pubblica circa questi studi che potrebbero favorire un senso di sfiducia nella ricerca scientifica. Solo da ultimo si pone anche il più grave degli interrogativi, relativo al possibile impianto di queste chimere in utero allo scopo di fare nascere organismi nuovi. L’editore rassicura che per ora non si pensa a questa possibilità, ma non nega che sia plausibile che qualcuno pensi già di far nascere individui geneticamente uomini e nel contempo scimmie.
Già allo stadio attuale “in vitro”, questo tipo di sperimentazione appare eticamente inaccettabile e la strada intrapresa appare assai pericolosa perché, tra il silenzio generale, ogni voce critica viene accusata di voler legare le mani e imbavagliare la scienza o la tecnologia. Come ha scritto Henry Poincaré (La morale e la scienza): “esistono persone che si infatuano di una idea non perché sia giusta, ma perché nuova e alla moda (…) sono dei terribili distruttori”.
Occorre invece avere l’intelligenza e il coraggio di porre dei limiti, non alle legittime domande della scienza, ma ai metodi per rispondervi, quando non siano rispettose dell’oggetto indagato, che in questo caso è la stessa vita umana. Occorre una grande vigilanza per tenere desta la coscienza del valore della “persona”, che non è solo un cumulo di cellule più o meno organizzate.
Per questo abbiamo un compito che profeticamente ha richiamato Romano Guardini (La fine dell’epoca moderna. Il Potere): “il dovere di ordinare il potere in modo che l’uomo, facendone uso, possa rimanere uomo”.
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