Un emendamento al decreto Covid per salvare Mediaset da una potenziale scalata di Vivendi. Lo ha presentato ieri la relatrice Valeria Valente ed è stato approvato dalla commissione Affari costituzionali del Senato. A sorprendere è il voto contrario della Lega, visto che in mattinata fonti parlamentari della maggioranza avevano fatto sapere che la proposta era stata condivisa con l’opposizione e nasceva dall’input dei ministri Roberto Gualtieri e Stefano Patuanelli. Questo emendamento di fatto blinda i gruppi televisivi italiani ed editoriali italiani. Nello specifico, riguarda ogni soggetto che si trova ad operare contemporaneamente nei mercati delle comunicazioni elettroniche e nel Sic, anche tramite partecipazioni azionarie rilevanti. In questo modo si vuole colmare il vuoto normativo che si è creato in seguito alla sentenza della Corte Ue che il 3 settembre aveva bocciato parte della legge Gasparri accogliendo il ricorso di Vivendi sul Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici. Inoltre, stabiliva che la norma italiana impedisce a Vivendi di acquisire il 28% del capitale Mediaset è contraria al diritto dell’Ue.
EMENDAMENTO SALVA MEDIASET: AGCOM CON POTERE VETO
L’Agcom potrà aprire un’istruttoria da chiudere entro sei mesi per valutare se l’operazione incide negativamente sul pluralismo informativo, e quindi agire di conseguenza. Quando la settimana scorsa è emerso che il governo voleva procedere in questo senso, fonti dell’esecutivo avevano fatto sapere, come riportato dal Fatto Quotidiano, che l’emendamento “salva Mediaset”, nasce dalla necessità di tutelare le aziende italiane. Si tratta, dunque, di una sorta di golden power estesa alle telecomunicazioni, «tanto più in una fase così critica per l’Italia che le nostre aziende rischiano di diventare facile preda di appetiti stranieri». Ma è comunque un assist all’azienda fondata da Silvio Berlusconi, che nel frattempo ha aumentato le dichiarazioni di appoggio alla maggioranza in questa nuova fase dell’emergenza. Peraltro, i nuovi vertici dell’Autorità di vigilanza sulle telecomunicazioni non sono comunque ostili alle aziende del leader di Arcore.